EVENTI





"Frammenti di un inconscio condiviso - 4a edizione"
"Fragmenti skupnega nezavednega - 4. zadnja"
"Da quel punto in poi"
"Od tiste točke dalje"
In occasione di Nova Gorica - Gorizia Capitale Europea della Cultura 2025
Ob priložitvi Nova Gorica - Gorica evropska Prestolnica kulture 2025
2025
Presentazione
Livio Caruso_DDS
Artista
Quanto ogni individuo e a maggior ragione un artista pensa, crea, realizza e produce, il risultato ottenuto dall'elaborazione ragionata e cosciente non è altro che l'atto finale di processi a tergo, di una in_venzione frutto dell'affioramento alla coscienza di quanto vissuto in silenziosa inconsapevolezza. Eppure, di tale in_consapevolezza, avverte il flusso, i movimenti, le vibrazioni, le apparizioni, le ombre, i Déjà vu. Sovente interloquisce coi fantasmi della scena onirica. Ma anche le credenze e le convinzioni, unite a quel sottile timore, o paura, che promana dal non conosciuto o non coscientizzato, dall'imprevisto, dal rifiutato, dal negato, e via dicendo, giocano nella fase conclusiva un ruolo spesso non secondario. Così l'inconscio lavora per noi, per giungere - forse e alla fine - alla coscienza e alla ragione. Inconscio, sub_conscio, pre_conscio, coscienza, ragione, spirito, percorso che si fonda e vive sulle esperienze vissute e incamerate nelle profondità delle viscere organiche, delle caverne interiori e dello spazio razionale che costituiscono l'essere umano. Nella creazione, soprattutto quella artistica, è inglobata la totalità di tutte le operazioni, da quelle inconsce (originarie e autopoietiche) a quelle razionali (poiesi cosciente), che regolano l'acquisizione dei significati che rendono esplicito il senso simbolico. Un ruolo fondamentale svolge la sfera spirituale che sottende alla cultura personale di ogni artista, che sia credente oppure no, in quanto la dimensione trascendente è insita in ogni essere umano.
L'evento pluriennale "Frammenti di un inconscio condiviso" ha rappresentato il tentativo, da parte del gruppo di artisti, di volta in volta coinvolti, di visualizzare questi aspetti, questi processi e luoghi psichici (ma anche fisici e organici) dell'essere umano nella sua accezione più completa, cioè in chiave spirituale, psicologica, antropologica e possibilmente in una prospettiva epistemologica. Nonostante le diverse tecniche stilistiche espresse dagli artisti, il surrealismo e soprattutto il surreale hanno accomunato in qualche modo tutti i partecipanti.
La prima edizione del progetto "Frammenti di un inconscio condiviso" ha visto realizzati quattro appuntamenti espositivi, durante tutto il 2022. L'evento è partito dalla Sala espositiva dell'Associazione Culturale per la promozione delle Arti Contemporanee "Prologo" di Gorizia, passando per le Sale espositive del Centro Culturale "Casa Candussi-Pasiani" di Romans d'Isonzo (GO), poi nel Refettorio dell'Abbazia di Santa Maria a Follina (TV), concludendosi a Gorizia, nuovamente nella Galleria d'arte "Prologo". Gli artisti partecipanti sono stati quattordici.
Alla seconda edizione hanno partecipato quattro artisti laziali e dieci artisti del FVG (di cui due argentini), uno albanese residente in Veneto, uno ucraino residente a Leopoli. Per il 2023 la tematica pur rimanendo la stessa, ha indagato in maniera più particolare alcuni aspetti: presenza, assenza, ombra, oltre, altrove, rifugio, cura, terapia, confini e limiti: è stato scelto un titolo specifico: "Qui ma Altrove. L'essenza dell'assenza", mantenendo "Frammenti di un inconscio condiviso" come titolo generale.
Nel 2024 il progetto è giunto alla terza edizione, con il titolo specifico "La perenne attesa", mantenendo il titolo ricorrente "Frammenti di un inconscio condiviso". Al di là della presenza del gruppetto storico di artisti (Bredeon, Caruso DDS, Gilaj, Imbimbo, Mauri, Suligoi), il progetto si è ampliato quasi autonomamente, nel senso che da una serie di circostanze che si sono concretizzate durante le esposizioni in Sabina nel 2023, sono scaturite delle nuove opportunità e il coinvolgimento di nuovi artisti. Per il 2024 è stata inserita una nutrita sezione fotografica, alla quale hanno partecipato quattro artisti sui ventitré totali.
Attraverso la collaborazione di Jani Kersevan, gestore del Bar Bordo della Stazione Transalpina di Nova Gorica, nel 2024 hanno partecipato due artisti sloveni, dando inizio ad un percorso transfrontaliero. Con la spinta creativa di Gigo de Brea, sin dall'autunno 2024 si è aperta la collaborazione con la KUD Goriška paleta di Nova Gorica, di cui Tanja Ambrožič è la Presidente. In seguito si è aggiunta la collaborazione del Fotoklub Skupina75 di Gorizia, di cui Marko Vogrič è il Presidente. All'inizio del 2025 sono stati coinvolti Ilaria Bonanni e Franco Profili, curatori e Presidenti rispettivamente delle Associazioni Tempus Vitae e ArteM, organizzatori del CAU - Cantiere di arti urbane, "Terni festival diffuso".
Il Format progettuale della quarta edizione si è rafforzato in concomitanza con l'evento Nova Gorica-Gorizia Capitale Europea della Cultura 2025, e il titolo individuato per questa edizione è "Da quel punto in poi". Dall'iniziale mostra del 2022, che vedeva la partecipazione di un gruppetto di artisti isontini e di un'artista albanese, il progetto si è trasformato in un evento interregionale (comprendendo il Friuli Venezia Giulia, il Veneto, il Lazio e l'Umbria), transfrontaliero (condiviso con la vicina Slovenia) e addirittura internazionale (con la partecipazione di artisti provenienti dalla Macedonia, dall'Ucraina e dalla Repubblica Ceca), aumentando via via il numero dei partecipanti e soprattutto la qualità delle opere.
Anche per quest'anno l'evento non è pensato come un pacchetto espositivo pre-confezionato, da presentare in una unica location, ma come un'operazione artistica diffusa, che si sviluppa tra l'Italia (comprendendo l'area isontina del Friuli Venezia Giulia e il ternano in Umbria) e la Slovenia, partendo da Gorizia il 21 giugno presso la Galleria ARS - Zveza Slovense Katoliške Prosvete - Libreria cattolica, concludendosi nelle sedi del CAU-Cantiere di Arti Urbane di Terni nel mese di dicembre 2025, con alcuni brevi passaggi presso la Libreria Lithos di Roma.
Anche per questa edizione va ricordato che l'inconscio "collettivo" è uno "spazio unitario", indivisibile perciò non frammentario o frammentabile. Ma il titolo fa riferimento a qualcosa di diverso, cioè a un inconscio condiviso e che il senso dei frammenti va considerato come una sequenza di immagini che appartengono all'inconscio di ognuno degli artisti, condiviso nel gruppo, come tanti frammenti giustapposti tra loro, in una sequenza mutabile e mutante dell'inconscio individuale del singolo artista che incontra gli altri, colto in frammenti e ricomposto in un racconto condiviso. Le opere riguardano la follia, la dimensione fantasmatica, i sogni, le paure, le identità, la psicologia in generale, la spiritualità e quant'altro riguardi l'individuo.
Le parole chiave, come guida al discorso artistico generale, anche per il 2025 sono: inconscio, psicanalisi, follia, allucinazioni, sogno, fantasmi, paure, angosce, percezioni, spirito e spiritualità. Nello specifico del progetto 2025, le parole chiave sono: spazio, tempo, campo, luogo, contesto, gestalt-insieme, simbolismo e punteggiatura, fede, infinito, identità, orizzonte psichico, confine, limite, soglia, frontiera, barriera, quadro, cornice, tensione, luce-ombra, vuoto-pieno, indicibile, invisibile, impensabile, inverosimile.
Ma ancora più specificatamente, partendo "Da quel punto in poi", considerando la differenza con "Da questo punto in poi" ("questo" e "quello" indicano vicinanza o lontananza rispetto a un soggetto o a un oggetto), l'indagine creativa si dipana da un punto… che può essere il punto di partenza ma anche di conclusione, di non ritorno, perché tutto scorre ma anche tutto si ferma; può rappresentare un momento di sospensione e immobilità; le delimitazioni come muri, reti, siepi, cancelli (i leggendari cancelli dei manicomi, soprattutto quello del Parco Basaglia di Gorizia, dove ebbe inizio la battaglia di Franco Basaglia, che da quel punto in poi cambiò la storia della psichiatria), porte (la chiusura della Galleria d'Arte "Mario Di Iorio" all'interno di Palazzo Werdenberg, sede della Biblioteca statale isontina di Gorizia, avvenuta con il pensionamento del Direttore Marco Menato, che per oltre un ventennio fu uno dei fulcri artistici di Gorizia e dell'intero Friuli Venezia Giulia) e finestre (spazio che sta tra l'interno e l'esterno, tra qui e l'infinito); oppure confini, limiti, soglie, passaggi, di natura mentale, geografica e storica, ma anche letteraria e artistica; dal punto si sviluppa la linea (in termini storici la strana linea bianca tracciata nel 1947 per dividere Italia e Slovenia, allora in Jugoslavia, dando vita a Nova Gorica e Gorizia separate; in termini artistici la grande pittura dei alcune avanguardie del '900, e soprattutto Vasilij Vasil'evič Kandinskij e Paul Klee), la superficie, e magari il colore; La Gestalt, il luogo, lo spazio, il vuoto, il pieno; nell'arte, dal pigmento al bit (dot pitch[1]), dall'impulso inconscio all'impulso generativo artificiale; dall'unicità all'infinità, dalla complessità al minimalismo e viceversa; le dipendenze di varia natura (vortici dai quali è difficile liberarsi, come maree che vengono e vanno trascinando con sé ogni cosa), i vortici simili al Maelström[2], la prigionia, la libertà (per la quale molti popoli hanno combattuto, con la lotta che nasce e scaturisce da un certo punto in poi sia in termini storici ma soprattutto in termini di profondo movimento psichico di ordine etico, che deriva dal bisogno innato di libertà che ogni individuo sente: sono di esempio le battaglie combattute dal battaglione partigiano Cankar nelle valli Selska e Poljanska in Slovenia, tra la fine di dicembre 1941 ei primi giorni di gennaio 1942).
Tutte queste tematiche (ancorché non esaustive) dunque appaiono, ancora e sempre, quanto mai significative e pertinenti a questi periodi in cui assistiamo alla tragica guerra in atto in Ucraina con l'aggiunta di quella in medio oriente e altre decine in diverse parti del mondo, nonché alle crisi migratorie di varia natura causate da molteplici cause, al continuo peggioramento climatico e dell'ecosistema, dei sistemi politici e economici. Le relazioni umane interrotte da situazioni emergenziali, da fughe e esodi, dalla scomparsa di persone e cose causata da molteplici accadimenti, da nascondimenti, da fragili confini geografici ma anche psicologici, da ambiti sociali sempre più sofferenti. Da tali eventi scaturiscono bisogni inattesi, sconosciuti, sentimenti di abbandono, voglia di fuga sia fisica che mentale.
L'occasione di Nova Gorica - Gorizia Capitale Europea della Cultura 2025 potrebbe rappresentare un esempio di riappacificazione tra i popoli, le comunità, le diverse culture. L'operazione artistica di "Frammenti di un inconscio condiviso", rafforzata dal titolo "Da quel punto in poi", è un racconto frammentato ma interconnesso attraverso molteplici aspetti della realtà, passata presente e forse futura. Da questo o quel punto ogni cosa inizia e/o finisce. Il territorio goriziano è stato ed è ancora uno spazio in cui agiscono eventi storico-geografici e artistico-culturali del tutto particolari, dove è possibile cogliere quelle possibilità di pacificazione o riappacificazione tra le diversità.
Se ci pensiamo bene, tutta la nostra vita si snoda come un passaggio da un punto ad un altro, in un continuum quasi imprecisabile. Se tutta la vita non è che un passare di momento in momento, attraverso obiettivi desiderati o accadimenti indesiderati, pensiamo a quanto possa essere drammatico che tutto si fermi, che non ci sia più niente da perseguire; il non aver più nessuno punto da raggiungere; o che nessuno si aspetti qualcosa da noi; il non attendere più nulla dalla vita…da quel punto in poi il nulla.
Ma, viceversa, è bene aspettarci dalla vita e dall'umanità tutto il meglio……
[1] Il dot pitch (talvolta chiamato line pitch, stripe pitch, phosphor pitch, o pixel pitch) è una specifica di un monitor che descrive la distanza tra i punti di fosforo o tra le celle LCD dello stesso colore di pixel adiacenti. Quindi, il dot pitch è una misura della grandezza della terna di punti di colore che compone un pixel.
[2] Il più famoso maelstrom è il Moskstraumen (corrente di Mosken), causato dalla marea lungo la costa atlantica della Norvegia. Il Moskstraumen è stato considerato come il maelstrom per eccellenza ed è stato descritto da celebri scrittori dell'Ottocento (che ne esagerarono alquanto la forza descrivendolo come un immenso gorgo che trascina all'interno ogni cosa): Edgar Allan Poe nel racconto Una discesa nel Maelström, Jules Verne nel romanzo giovanile Un inverno tra i ghiacci e in Ventimila leghe sotto i mari.

VISITE GUIDATE
Arianna Petricone (Storica dell'arte - Direttrice del Museo "Lin Delija-Carlo Cesi" di Antrodoco (RI)
1.
Ospitare mostre temporanee è per un museo un onore e un piacere. Esse, infatti, sono sempre un'eccellente occasione di ricerca, educazione ed anche di svago, attraverso le quali è possibile dare non solo completezza alla dimensione comunicativa dell'istituzione, ma anche offrire ai visitatori nuove occasioni per tornare in Museo, il quale, a sua volta, attraverso le mostre temporanee vive nuove vite attraverso le nuove opere esposte.
Non è sempre facile organizzare mostre temporanee e per questo sono personalmente molto grata a Livio Caruso, e a tutti coloro che a diversi livelli hanno collaborato con lui, per la realizzazione di questo progetto che ha coinvolto il Comune di Antrodoco ed in particolare il Museo civico.
Questa mostra, definita nella "Presentazione" un'operazione artistica diffusa, si svolge in diversi luoghi, a luglio parte dalla cittadina di Antrodoco che offre due spazi espositivi, il Museo civico e la chiesa di Santa Maria Extra Moenia, per spostarsi poi a Rieti prima nelle sale della Galleria "Le Stelle" di Rieti poi, ad ottobre, a Gorizia nella Galleria d'arte dell'Associazione "Prologo" e in alcuni spazi del Parco Basaglia.
2.
Il Museo della città "Lin Delija-Carlo Cesi" di Antrodoco, è un museo molto particolare, fondato nel 2002 all'interno del settecentesco monastero di Santa Chiara dal Comune, grazie anche alle numerose donazioni di collezionisti privati. Il museo nasce con lo scopo precipuo di porre in dialogo l'arte di due artisti molto diversi tra loro: Carlo Cesi[1], pittore e incisore seicentesco della cerchia di Pietro da Cortona antrodocano per nascita, e Lin Delija[2], pittore albanese del novecento antrodocano per scelta.
La collezione del museo è costituita da un consistente nucleo di opere pittoriche e di disegni di Lin Delija e da alcune incisioni di Carlo Cesi. Quando queste ultime sono entrate in collezione, acquisite attraverso un progetto della Regione Lazio[3], per una serie di fortunate circostanze sono state donate al Museo, dalla moglie Laura Leli, anche delle opere di Umbro Battaglini affinché queste potessero non solo dialogare con quelle del maestro cortonesco[4] ma anche permettere una più completa comprensione, da parte del fruitore, della complessità della tecnica della stampa d'arte e delle molteplici potenzialità espressive dell'incisione contemporanea.
Le opere appartenenti alla mostra temporanea allestite nelle sale del museo arricchiscono, senza snaturarla, un'esposizione già molto ampia. L'incontro e, talvolta, lo scontro tra queste opere è un interessante riflessione che ognuno potrà fare passeggiando tra le sale che si snodano nell'insolito percorso tortuoso che caratterizza il museo civico e che è stato voluto fortemente dai curatori del progetto museografico Roberto Bua e Silvia Cuppini, perché richiamasse alla mente del visitatore i vicoli che contraddistinguono il centro storico di Antrodoco.
3.
La tematica fondamentale e che coerentemente si ritrova nella quasi totalità delle opere esposte nella mostra è "l'altrove", tema in realtà ricorrente anche in moltissime opere del maestro Lin Delija, sotto diversi punti di vista.
Il primo è forse il più evidente, considerando i soggetti di molte opere, è l'altrove inteso in senso religioso. Lin Delija infatti pur essendo un artista dei primi del '900 era profondamente cattolico, aveva con la religione "un rapporto quasi viscerale, intenso, drammatico"[5] che ha caratterizzato non solo la sua vita, le sue scelte ma anche e soprattutto il suo lavoro. In un'epoca storica in cui l'arte non era più, come in passato, uno dei veicoli principali delle Sacre Scritture e della conoscenza cristiana, Lin Delija torna alle origini, scegliendo e rappresentando iconografie antiche ma nuove, poiché presentate con punti di vista inediti e interessanti.
Dunque l'altrove è per il Lin Delija cattolico certamente il luogo della vita che verrà all'indomani del giudizio universale, il luogo nel quale ogni buon cristiano spera di trovarsi alla fine dei tempi.
D'altra parte, rimanendo su temi molto più terreni, ma non meno intensi emotivamente, Lin Delija pur avendo scelto Antrodoco come luogo in cui vivere e lavorare e pur essendo riuscito ad instaurare numerose relazioni importanti e di valore in Italia, mantenne sempre una fortissima nostalgia per il suo Paese di origine e per il suo popolo, lontano ed in difficoltà.
Questa forte nostalgia lo portano ad indagare l'altrove all'interno delle sue opere, alcune delle quali sono ambientate ad Antrodoco o la rappresentano, richiamando però sempre, con molta forza Scutari, il maestro infatti riconosceva in molti luoghi antrodocani tratti della sua terra natia. In alcune opere invece sono rappresentate scene, più o meno gioiose, abitate da numerosi personaggi, alcuni dei quali indossano capi d'abbigliamento tipicamente albanesi; mentre altre opere sono ritratti, spesso della gente del posto, che fu per Lin Delija una galleria inesauribile di tipi e modelli da ritrarre.
Dunque nelle opere di Lin Delija emerge spesso, e con molta forza, la tematica dell'esule, che vive altrove, rispetto alla sua terra d'origine e alla solitudine estraniante che questa condizione comporta.
Le numerose opere temporanee esposte, sono estremamente eterogenee, per tecnica, stile, soggetti, etc., sono infatti presenti opere di pittura, grafica, scultura, lavori astratti ed altri figurativi, pertanto ad un primo sguardo rapido, potrebbero sembrare apparentemente incoerenti tra loro o poco affini con le opere ed il contesto circostante. In realtà non è così. Si potrebbe parlare piuttosto di nuclei tematici ai quali ricondurre gruppi di opere, unite però tutte da un unico, fondamentale, filo conduttore: l'altrove.
Il primo nucleo, notevolissimo ed estremamente particolare, è rappresentato dagli ex libris e dalle incisioni di Alessandro Melchiorri e Roman Romanyshyn, che si affiancano alle opere presenti nella collezione permanente del museo.
La tecnica dell'incisione, o stampa d'arte, indica l'operazione mediante cui, da una matrice, si ottengono uno o più esemplari di un'immagine impressa generalmente su carta. La maggior parte delle opere in mostra, comprese quelle di Carlo Cesi ed Umbro Battaglini, sono acqueforti.[6]
Gli ex libris nascono invece come "timbri" da apporresul frontespizio dei libri per designarne l'appartenenza ad una famiglia e/o ad una biblioteca. Nei secoli man mano che i libri diventavano oggetti di uso comune, l'ex libris ha perso la sua originale funzione, ma non è sparito, bensì si è evoluto, sono mutate le tecniche di esecuzione, seguendo anche il progresso tecnologico, e reinventandosi ha attraversato i tempi.
Un punto di contatto interessante tra gli ex libris e l'incisione avviene tra il XVI e il XVII secolo, a seguito dell'introduzione della stampa, il contatto sta non solo nella tecnica, poiché una delle prime tecniche di stampa adottata fu la Xilografia[7] ma anche nel fatto che tra i proprietari dei volumi, prodotti ormai in gran quantità rispetto a prima, nacque l'esigenza di marcare la proprietà, non cono una semplice "timbro" o con una scritta ma con un "marchio" decisamente e volutamente più elaborato, ricercato, ornamentale e riconoscibile, che permettesse subito di comprendere il livello culturale e l'agiatezza di chi lo possedeva. Dunque venivano realizzati su fogli appositi, stampati e poi incollati all'interno della copertina. Tra i vari artisti che si cimentarono in quest'arte uno fu Albrecht Dürer[8], probabilmente il più grande incisore di tutti i tempi.
Sia gli ex libriis che le incisioni sono forme d'arte definibili "di nicchia" che hanno avuto, nei secoli, fortune alterne ma senza ombra di dubbio una grande importanza.
Le incisioni dipinte di Alessandro Melchiorri sono molto peculiari e moderne, presentano una scelta materica diversificata che va da inserti, ai collage e ai graffiti, che raffigurano ambientazioni oniriche con confini difficilmente delineabili e colori volutamente poco realistici, quasi monocromi.
Le tre incisioni (acquaforti) di Umbro Battaglini[9], entrate nella collezione permanente del Museo nel dicembre 2022, sono caratterizzate da una fortissima e differente cromia e matericità, che ricordano la predilezione dell'autore per la scultura, e da un'astrazione quasi totale, ad eccezione di quel sole nero, solitario ma di un cupo splendore.
Battaglini era prevalentemente uno scultore ma in poco meno di un centinaio di opere ha voluto misurarsi con l'incisione, sperimentando le molteplici potenzialità della tecnica.
L'universo narrato nelle minute, ma estremamente preziose, opere di Roman Romanyshyn racconta e permette di immergersi in storie mitiche e mitologiche dall'Odissea di Omero alle vicende dell'esilio di Napoleone a Sant'Elena, utilizzando uno stile ed una tecnica antica ma con tratti e innovazioni moderne. La scelta della rappresentazione dei personaggi orientati nello spazio in maniera non realistica, i colori, le forme e le espressioni ci conducono immediatamente altrove, nella nostra mente, nelle nostre reminiscenze scolastiche (e/o universitarie) e nella nostra immaginazione, rapita da racconti di isole e storie lontane.
Il secondo nucleo tematico è composto dalle opere "informali" che esprimono a pieno l'inconscio nel gesto e nel segno. Nell'opera di Bredeon troviamo una pittura astratta dove è evidente l'importanza della composizione, diversa dalla "pacatezza" anche cromatica di Suligoi e dalla scelta cromatica, allegra e quasi disordinata di Malatesta.
Il terzo ed ultimo nucleo tematico di opere, è il più consistente, è raccoglie tutte quelle opere che si potrebbero, banalizzandole, definire "formali", ovvero rappresentazioni con soggetti riconoscibili, che "hanno una forma", opere come quelle di Livio Caruso_DDS, Maria Fernanda Veron, Pranvera Gilaj e Agnese Melchiorri, ritratti o comunque rappresentazioni reali di soggetti indagati osservando, in primis, il loro io più interiore, anche quando il volto non si vede, perché è volutamente non definito o girato mostrando la nuca, anche quello è significativo, c'è un messaggio ben preciso.
Sono soprattutto queste le opere che, attraverso i personaggi, cercheranno dentro al museo un dialogo ed un confronto con l'estesa galleria di personalità che abitano le opere della collezione permanente. Lin Delija aveva certamente una fascinazione speciale nei confronti della figura femminile, infatti molte delle opere esposte rappresentano donne, tutte molto diverse tra loro, ci sono le donne del racconto evangelico, preoccupate, straziate, affrante, segnate in volto dal dolore. Ci sono le Madonne, le Madri e le Maddalene. Ci sono le donne incontrate e quelle solo sognate. Le donne reali che abitano Antrodoco e le donne senza i lineamenti del volto definiti ma la cui condizione o predisposizione d'animo è riconoscibile dai modi, dagli abiti o dagli atteggiamenti. Ci sono lavoratrici instancabili, ritratti di bambine, di giovani, di anziane, ognuna di loro indagata nella sua emotività, espressa sia nelle movenze e nei piccoli gesti, sia nelle espressioni del volto. Donne abbandonate, fiere, enigmatiche, affascinanti, misteriose e innamorate. Uno studio vivo e vibrante di tipi umani femminili che prosegue anche nei numerosi disegni e in molte altre opere, purtroppo non esposte, e conservate nei magazzini del Museo. Questi infiniti tipi e sentori dell'animo si ritrovano perfettamente anche nelle opere della mostra temporanea, accumunate dalla ricerca dell'emotività e, ancora una volta, dall'altrove verso cui tendono gli stadi d'animo di molte delle donne rappresentate.
Una "coda" del gruppo tematico "formale" è rappresentato dalla perfezione imperfetta dei dettagli della natura di Laura Grusovin e dall'incredibile opera onirica di Imbimbo che ci porta a cavalcare l'Aurora, così come Lin Delija ci conduce all'osservazione e alla scoperta della Luna e di Antrodoco nella pittura dei suoi paesaggi.
[1] Carlo Cesi (Antrodoco 1626 - Rieti 1681) studiò disegno e pittura a Rieti, per poi trasferirsi, ancora giovane, a Roma, dove fu allievo di Pietro da Cortona e, grazie al quale, ottenne le prime commissioni. Di questa produzione giovanile è andato tutto perduto o comunque è difficilmente identificabile, a causa della scarsità di notizie. Fu però un artista di successo sia per la produzione di affreschi che per la produzione pittorica. Ma la sua fama è legata soprattutto alla sua attività di incisore, realizzò, infatti, numerose riproduzioni di affreschi dei grandi maestri del primo Seicento romano. Si dedicò per molti anni all'insegnamento, fu investito dell'onorificenza di camerlengo dell'arte dei pittori fino al 1670 e nel 1675 principe dell'Accademia di San Luca.
[2] Lin Delija (Scutari 1924 - Roma 1994) studiò presso scuole francescane, per poi arruolarsi forzosamente nell'esercito, dal quale a diciotto anni disertò per fuggire in Croazia, dove frequentò l'accademia d'arte di Zagabria. Dopo avventurose peregrinazioni arrivò a Roma, dove grazie ad una borsa di studio, terminò la formazione artistica all'Accademia di Belle Arti, con, tra gli altri, il pittore Mario Mafai. È in questo periodo che entrò in contatto con altri intellettuali albanesi profughi. Dopo essersi diplomato all'Accademia, partecipò a numerose mostre collettive ed espose in alcune delle gallerie italiane più importanti. Nel 1963 si trasferì definitivamente ad Antrodoco, dove continuò a lavorare instancabilmente e ad esporre, in tutta Italia in mostre personali e collettive, arrivando anche a New York. Negli ultimi anni, rivolse la sua esperienza all'insegnamento, fondando, ad Antrodoco, la libera accademia di Villa Mentuccia intitolata proprio a Carlo Cesi.
[3] Legge Regionale 24/2019 - Avviso pubblico per interventi a favore dei servizi culturali inseriti nelle organizzazioni regionali O.B.R., O.M.R. e O.A.R. per l'anno 2022.
[4] Lione Pascoli nella sua opera "Vite de' pittori, scultori, ed architetti moderni" lo ricorda tra i più fedeli allievi di Pietro da Cortona, grazie al quale ottenne le prime commissioni ed un rapido successo che lo portarono ad avere importanti commissioni e a lavorare con e per Pietro da Cortona.
[5] Marianna Accerboni, "Lin Delija. In viaggio verso casa".
[6] L'acquaforte è una tecnica di incisione calcografica destinata alla stampa, nella quale l'artista riporta su una lastra metallica, generalmente in rame, ricoperta da uno strato di cera il disegno, incidendo la superficie con una punta d'acciaio, asportando la cera e scoprendo così il metallo. Immersa la lastra in un bagno acido, questo, corrodendo il metallo non protetto nei solchi incisi, forma il disegno sulla superficie della lastra. Tolta dall'acido e liberata dalla cera, questa è pronta per essere inchiostrata e procedere quindi alla stampa su carta.
[7] La xilografia, o incisione sul legno, (incisione su legno), che avveniva per mezzo di torchio, ed è "a rilievo", cioè il disegno è in superficie, e non scavato sulla matrice, Incisione eseguita mediante l'utilizzo di particolari strumenti di ferro taglienti (bulini, scalpelli, sgorbie, etc.) con i quali lo xilografo scava le parti bianche del disegno e, a lavoro ultimato, inchiostrando il rilievo, ottiene la stampa mediante pressione manuale o per torchio.
[8] Albrecht Dürer (Norimberga 1471 - 1528) è stato uno dei maggiori rappresentanti del rinascimento nordeuropeo, incisore, disegnatore, pittore matematico e letterato, è considerato tra i più grandi artisti tedeschi di sempre.
[9] Umbro Battaglini (Foligno 1929 - Stroncone 2007), Accademico di merito, per la scultura, dell'Accademia di Belle Arti "Pietro Vannucci" di Perugia dal 1980. Ha svolto attività nel campo della scultura, della pittura e della grafica e ha partecipato ad esposizioni personali e collettive. È stato membro di varie equipe di architettura con cui ha realizzato progetti di arte sacra, civile e design. È stato docente, presso l'Istituto Statale D'Arte di Terni dal 1963 al 2000, di Disegno professionale e Progettazione metalli.
Alessandra Scipione (Storica dell'arte)
1.
Questa esposizione affonda le sue radici nel 2019, quando Livio Caruso, in seguito ad una serie concatenata di eventi fortuiti, organizzò presso la Biblioteca Statale Isontina la mostra dedicata al maestro Lin Delija, intitolata Lin Delija. In viaggio verso casa,generando così un nuovo susseguirsi di iniziative dedicate al pittore, fino a coinvolgere alcune sue opere nella "Sezione speciale" della prima edizione di questo progetto itinerante dedicato all'inconscio.
La "Sezione speciale", essendo nata in corso d'opera, fu presentata durante l'ultima tappa della mostra, mettendo in campo le creazioni di quattro artisti scomparsi, che invece, in questa seconda edizione, sono state pensate e predisposte insieme all'esposizione generale del progetto.
Nella storia dell'arte contemporanea l'inconscio riveste una parte fondamentale della produzione artistica, che da un lato risulta essere il frutto naturale dall'Es[1], dall'altro, il risultato ragionato della volontà umana. La percezione di questa volontà, essendo inevitabilmente condizionata dall'inconscio, non corrisponde mai al risultato premeditato. Un po' come quando cerchiamo di raccontare un sogno, ci figuriamo chiaramente le immagini che abbiamo visto e vissuto, ma non riusciamo in nessun modo a fare una narrazione degna del mondo parallelo in cui abbiamo fluttuato durante il sonno, tanto che alcune volte diventa frustrante cercare di raccontare a qualcuno la visione che ci ha destati con tanto affanno o piacevolezza; altrettanto credo che succeda agli artisti nella trasposizione delle loro opere dalla mente alla tela, o su qualsiasi altro supporto. Lì immagino riflettere sulle future creazioni, figurarsele nella mente, covarle dentro e poi metterle al mondo sotto mentite spoglie, deliberatamente o inconsapevolmente.
Questa seconda edizione nasce dal bisogno degli artisti partecipanti di approfondire ulteriormente un argomento così labile e oscillante, che non permette mai di giungere ad una conclusione.
Le opere sono in mostra in tre diversi luoghi della Sabina e, questa in Santa Maria Extra Moenia, è l'ultima tappa delle inaugurazioni iniziate venerdì 14 luglio.
2.
Ma perché è stata scelta la zona della Sabina come luogo di inizio per questa seconda edizione?
Come già detto, i motivi sono strettamente collegati a quelli che diedero origine alla mostra del 2019 a Gorizia, il punto di contatto è il pittore Livio Caruso, il quale, nei primi anni Settanta, frequentò il maestro Lin Delija.
Caruso ha in mano il filo rosso che collega gli artisti Goriziani con quelli della Sabina, fil rouge che passa tra le mani dell'indimenticato Delija, abbracciando alcuni artisti che negli anni Ottanta ebbero modo di frequentare la Libera Accademia di Belle Arti "Carlo Cesi", istituita dal maestro all'interno della sontuosa struttura settecentesca di Villa Mentuccia che dall'alto domina Antrodoco. È il caso di Fabio Grassi e Alessandro Melchiorri, personalità ben note nella provincia di Rieti, presenti in questa seconda edizione con le loro opere. Negli anni, questi due artisti, hanno intrapreso linguaggi diversi fra loro, distaccandosi dal modello iniziale delijano, sperimentando nuove tecniche e forme artistiche.
Antrodoco ospiterà la prima inaugurazione presso il "Museo della Città Lin Delija-Carlo Cesi" e l'ultima presso la chiesa di Santa Maria Extra Moenia; la seconda inaugurazione si terrà a Rieti presso la Galleria "Le Stelle".
Mentre le motivazioni che hanno portato l'amministrazione a deputare il Museo della Città come uno dei luoghi di esposizione sono riscontrabili nella denominazione del museo, intitolato per l'appunto al maestro Lin Delija, le ragioni che hanno spinto ad aprire le porte della chiesa di Santa Maria Extra Moenia sono da ricercare nella storia del pittore e della chiesta stessa.
Le origini della struttura risalgono al V secolo d.C. quando, lungo la via Salaria, fu probabilmente edificato un tempio dedicato alla dea Diana, nei secoli si susseguirono diversi restauri fino ad arrivare nell'XI secolo al complesso attuale, consacrato il 26 novembre 1051 sotto il Vescovo di Rieti Gerardo.
Il parroco di Antrodoco, Don Luigi Tosti, nel settembre 2003 scrivendo la prefazione per il libricino "Gli affreschi votivi del battistero e della chiesa di Santa Maria Extra Moenia di Antrodoco" ha utilizzato parole semplici e incisive:
"Sono tante le bellezze artistiche e naturali intorno a noi e siamo talmente abituati a vederle che ci sembrano familiari. Ma, è noto, avere contatto con le cose non vuol dire affatto conoscerle (……) È davvero un raro privilegio per un paese avere una simile risorsa; è altresì una pesante responsabilità. Ci dev'essere quindi in tutti l'impegno, e il dovere, della custodia, della conservazione e della valorizzazione. Al di là infatti del valore storico artistico che rappresenta è lì che possiamo ritrovare le radici profonde dell'esperienza cristiana della comunità locale."[2]
Queste poche righe riassumono benissimo il significato della scelta del luogo.
La chiesa, riconosciuta come Monumento Nazionale italiano, rappresenta una delle bellezze artistiche più importanti sul territorio, ma, la decisione di esporre al suo interno una parte delle opere che concorrono in questa mostra itinerante, non è dovuta all'unico desiderio di puntare un riflettore su questa meravigliosa struttura architettonica; la ragione va ricercata piuttosto nella profonda fede del pittore Lin Delija. Noi cittadini antrodocani conosciamo tutti il nome dell'artista, le sue opere, le case in cui abitò, gli scorci del paese che decise di immortalare sulla tela. Lin Delija "è un antrodocano con origini scutarine", sempre nostalgicamente legato alla sua terra d'appartenenza ma visceralmente profuso con le genti e i paesaggi della sabina.
In tale contesto la vita del maestro non ha bisogno di particolari introduzioni, poiché, questo è il paese che lo ha adottato e questa la chiesa che fece da sfondo ad alcune sue lezioni di pittura, impartite nel corso degli anni a più generazioni di giovani antrodocani; questo fu l'habitat naturale, sia inteso come luogo di culto legato alla profonda fede dell'artista, sia come luogo paesaggistico di cui Delija subì il fascino eleggendolo più volte a sfondo della formazione dei suoi allievi. Per ulteriori approfondimenti sulla biografia del pittore rimando al sito dedicato www.lindelija.it.
Oggi, questo edificio cristiano, apre le porte al mondo della psicoanalisi. Due concetti, fede e inconscio, apparentemente contrapposti, legati però dall'unicità della percezione dell'individuo.
3.
Entrando in Santa Maria Extra Moenia veniamo subito scossi dalla complessità e diversità dei lavori esposti. Nonostante questa disomogeneità iniziale, il fil rouge che lega le opere viene subito ritrovato nel tema generale della mostra. I diversi approcci si concretizzano nell'espressione autentica degli artisti; essi hanno colto l'occasione per mostrare l'immagine che meglio esprimesse il significato del titolo di questa seconda edizione Qui ma altrove. L'essenza dell'assenza.
La frammentarietà di questi diversi inconsci ci catapulta nel mondo interiore degli artisti, che a volte, senza neanche conoscersi fra loro, hanno interpretato attraverso gli stessi simboli la personale percezione del "Qui ma altrove".
Esaminando i lavori in un quadro generale nasce subito una prima naturale scissione tra chi interpreta il mondo inconscio attraverso un'arte figurativa e chi utilizza invece l'astrattismo come espressione del proprio caos interiore.
Tra le opere figurative salta subito all'occhio un elemento ricorrente, la "sedia", da sempre oggetto e soggetto di grandi opere d'arte. Il fatto che artisti sconosciuti fra loro l'abbiano utilizzata come espressione di un universo interiore, apre una finestra sulla profonda simbologia da sempre rappresentata da questo oggetto.
Le due opere Ritratto di donna di Lin Delija e Donna-sedia di Flavio Riz, sono caratterizzate da un espressionismo molto diverso; la prima prende forma attraverso pennellate delicate e veloci, realizzate con toni molto tenui ed eleganti, quasi una rarità nella produzione del maestro; la seconda figura, invece, prende forma attraverso la voracità dei colori forti, il rosso predomina la scena ma è il tratto nero e selvaggio, tipico delle opere di Riz, a tenere la figura bloccata sulla tela. Nonostante la delicatezza della prima e la spigolosità della seconda, entrambi i soggetti sono adagiati su una seduta, che nel primo caso percepiamo (perché in realtà non c'è) attraverso la posizione della struttura ossea e carnosa della donna; invece, nel secondo caso, la struttura lignea della sedia è completamente integrata e assimilata alla figura; questa presenta un volto "sfigurato", monco per metà, come se una parte non fosse lì, ma altrove, oltre il mare azzurro alle sue spalle. La figura è bloccata nella sedia, che esplicita tutta la sua simbologia legata alla forma allusiva del corpo umano, da cui derivano i nomi delle sue componenti, come schienale da schiena, gambe, piedini da piedi e così via.
La sedia torna anche nell'opera L'ombra delle cose di Pranvera Gilaj, artista di origine albanese come il nostro Delija, attuando esattamente il processo inverso del suo connazionale. C'è una sedia viva, resa tale dagli oggetti che la abitano, una camicia da lavoro, le ciabatte del riposo e una fiaschetta di vino per ristorarsi dopo una giornata di lavoro. L'oggetto diviene soggetto soggettivo, poiché ogni spettatore proietterà sulla sedia la persona evocata dalla propria memoria.
L'opera rimanda inevitabilmente al realismo portato in campo da Renato Guttuso negli anni Quaranta, Pranvera, come il siciliano, rivela un forte sentimento di condivisione per la cultura materiale che abita la quotidianità del popolo e in particolare la fascia, "in via di estinzione", dei contadini; inoltre, questa attenzione per il mondo popolare, elaborata con grande semplicità stilistica, crea un punto di contatto anche con opere di stampo Naif[3].
Tra i lavori esposti ce n'è un altro che attraverso una seduta evoca alla memoria attimi di vita passati, goduti, amati e nostalgicamente ricordati. L'opera in questione, di stampo surrealista, è il Morfeo, di Livio Caruso DDS. La composizione fa riferimento al mondo simbolico dell'individuo e si presenta assolutamente libera da ogni prospettiva e logica. Il Surrealismo, movimento nato negli anni Venti del Novecento, si è fondato sulle scoperte maturate dalla psicoanalisi, in cui sogno e inconscio vengono considerati agenti attivi, in grado di far emergere la parte primordiale ed emozionale dell'essere umano.
L'autoritratto affiora e svanisce sulla tela ogni volta che anche noi chiudiamo le palpebre unendoci al sogno dell'artista. Nella memoria irrompono tre oggetti, che suggeriscono una storia tenuta in vita da quei simboli. Caruso ci obbliga a trovare una lettura, un percorso logico, lasciando che quei pochi, meditatissimi oggetti, si insinuino nella nostra mente, interrogandola fino a sprofondare nella nostra psiche, generando così nuovi simboli e nuove associazioni.
La disposizione degli elementi evoca opere di Giorgio De Chirico e del conseguente movimento della Metafisica, incentrato sul tema dell'attesa come condizione intrinseca dell'essere umano, e rivolto ad una dimensione che supera l'esperienza empirica e si colloca al di là del sensibile.
Anche l'opera L'ombra delle cose lavora ancora di Laura Grusovin è devota ad un realismo lirico, assimilabile all'arte metafisica, collegandosi in parte al successivo movimento del Ritorno all'ordine[4], fondato sulla necessità di recupero delle tradizioni e delle radici comuni.
Ultima opera di stampo surrealista/metafisico (a volte risultano essere due facce della stessa medaglia) è Notte di sole di Francesco Imbimbo; salta subito all'occhio una certa incongruenza tra l'accostamento generale degli elementi del paesaggio, e poi fra questi ultimi e il titolo stesso dell'opera. L'immagine evoca il surrealismo magrittiano, giocato sul tema dell'illusione, sia come artificio dell'arte, ma anche illusione come comprensione falsata della realtà, in una sovrapposizione costante dei due concetti, facendo della pittura, o disegno che sia, la metafora della condizione umana.
Infine troviamo un delicatissimo acquarello di Agnese Melchiorri raffigurante una persona seduta con i gomiti poggiati sulle gambe totalmente assente spiritualmente, trasportata in un'altra dimensione, in questo caso c'è la sedia e c'è la persona, ma non c'è l'anima né dell'oggetto né del soggetto. La posizione meditativa assunta dal protagonista è nota nella storia dell'arte, e in particolar modo nella scultura, attraverso opere come il Pensatore di Auguste Rodin del 1880, ma ancor di più la scultura Fireside chat di George Segal, scultore statunitense che divenne famoso grazie alle opere a grandezza naturale. In questo caso il piccolo acquarello e la statua di grandi dimensioni propongono la stessa identica rappresentazione della figura umana assorta e totalmente estraniata dalla dimensione circostante.
Sulla sedia sono state scritte moltissime cose, essa è stata da sempre protagonista delle opere dei più grandi artisti e scultori, allusiva di vita e di morte, espressione di individualità, di solitudine e quotidianità, tiene le persone ricurve sui libri o intente in altri lavori, le accompagna nei momenti di convivialità casalinghi, e poi invecchiando, quando le energie cominciano ad abbandonare i corpi, diventa calamita e calamità, creando una sorta di immaginario comune che proietta i nostri cari ancora comodamente seduti in qualche angolo delle nostre abitazioni. L'oggetto diventa così un ponte verso qualcuno o qualcosa che è altrove, aiutandoci inconsciamente nell'elaborazione dei nostri malesseri.
Prima di passare alle opere più prettamente astratte mi soffermerei su quelle collocabili nel limite estremo dell'arte figurativa. La prima, Amentia, di Fabio Grassi, oltre a richiamare alla memoria alcuni ritratti picassiani, ricorda alcune opere realizzate dai protagonisti del gruppo CO.BR.A, movimento artistico d'avanguardia nato in Europa alla fine degli anni Quaranta e caratterizzato da una pittura semi astratta, realizzata attraverso colori brillanti e violente pennellate, i quali, in una distorsione perenne della realtà, lasciavano emergere dagli sfondi astratti, figure e volti antropomorfi.
Inoltre, l'opera in questione di Grassi, ricorda molto alcune opere di Fernando Farulli[5], artista fiorentino che nella seconda metà degli anni Quaranta aderì al movimento "Arte oggi".
La seconda opera, dal titolo Portrait, è una fotografia con interventi in sovrapposizione dell'artista argentina Maria Fernanda Veron. Il risultato finale lascia sgomenti davanti all'ombra della persona che un tempo ha abitato la foto, adesso completamente tramutata in uno spettro nebuloso. Allargando lo sguardo su tutte le opere in esposizione dell'argentina, si percepiscono le fisionomie dei personaggi disfatte dalla sofferenza, uomini e donne che hanno perduto la loro stessa identità. Le immagini, ricordano la serie degli "Otages" di Jean Fautrier[6], realizzati dall'artista francese intorno alla metà degli anni Quaranta in seguito alla diretta esperienza della guerra, mostrando il proprio tomento attraverso la deformazione delle fisionomie dei personaggi, con un effetto di rilievo reso dal coagularsi della materia pittorica, realizzato dalla Veron attraverso gli interventi in sovrapposizione. Inoltre, queste rielaborazioni fotografiche, evocano alcuni studi di Francis Bacon e della sua deformazione e rielaborazione del disagio e dello smarrimento dell'uomo, tutto incentrato, come quello della nostra artista, sul tema dell'incomunicabilità.
La terza opera al limite dell'arte figurativa è Triptico 2 realizzata dall'artista Giampietro Guillermo, dico al limite perché lo sfondo si presenta totalmente astratto e su questo viene inserito un nudo molto realistico, pregno dei riferimenti più disparati, dalle ballerine di Degas ai manichini senza volto di De Chirico, elegantemente in bilico su l'orlo di un precipizio. Precipizio visibile solo grazie all'inserimento della figura e che altrimenti risulterebbe un mero segno compositivo dell'opera astratta.
Le ultime due opere con una compresenza di astrattismo e figurativismo sono Suoni al di là… del reatino Alessandro Melchiorri, e Risoluzione, di "Vera" Elvira Mauri.
La prima ci dà la sensazione di scomparire insieme al personaggio raffigurato, di cui è visibile solo una mano, intenta forse ad accarezzare uno strumento musicale, mentre tutto il resto scompare sotto l'andamento delle linee energiche che rimandano ad alcune opere futuriste. La seconda ci confonde con la messa a fuoco su un tessuto realizzato con corde tirate e spezzate, che tendono a separarsi ulteriormente nella parte inferiore del dipinto, ma che restano comunque unite sulla superfice della tela da un nuovo giro di corda. L'opera, di non facile lettura, mette sicuramente in evidenza un mondo interiore molto articolato, dominato da forze emotive a contrasto, che creano strappi e ferite.
Giunge il momento di immergerci nel mondo più indecifrabile, ovvero quello delle opere astratte.
Più in particolare l'opera Sentao...tra mar e palùo di Daniele Bredeon è perfettamente assimilabile all'arte informale, nata in linea con il cosiddetto Espressionismo astratto[7]. Bredeon segue la scia dell'americano Franz Kline[8] e dei francesi Pierre Saulage[9] e Georges Mathieu[10], artisti che intrapresero una pittura informale basata sull'importanza del segno calligrafico, rifacendosi anche agli ideogrammi dell'estremo oriente.
Mentre Bredeon guarda ad un astrattismo più segnico, Pierina Malatesta ha realizzato opere legate alla velocità del gesto che creano un unico vortice tra pensiero e realizzazione dell'opera, senza filtri ne artifici. Anima, azione e creazione sono gli unici ingredienti del Davide dell'artista reatina.
Altra sfaccettatura dell'astrattismo viene messa in campo dall'artista scomparso nel 2018 Maurizio Gerini; l'opera, Paesaggio attuale - prospettive d'incontro, si presenta con una superfice ricca di forme e colori, la composizione è totalmente asciugata da riferimenti figurativi, fatta eccezione per una finestra sbarrata in alto a destra, dandoci così una chiave di lettura per questo paesaggio, che forse non è uno spazio aperto ma una colorata prigione, allusiva della psiche umana, che spesso si tramuta, anche per uomini liberi, in una gabbia senza via di fuga. L'opera ricorda i lavori di Vassilij Kandinskij, come lui, il nostro Gerini, utilizza un processo di semplificazione del linguaggio, attuando la comprensione attraverso la pura percezione sensoriale, totalmente spontanea e primordiale.
Infine è esposta un'opera di stampo canonicamente informale, Oltre. La preghiera di Cristina Suligoi. L'immagine prende forma dalla stesura del rosso e del nero dal quale vengono ricavate tante tonalità e sfumature; il tutto viene invaso da sottili linee bianche che appaiono come scariche elettriche propagandosi dall'esterno all'interno del dipinto. Il titolo ci aiuta a salire su un binario interpretativo che conduce al di là dello spazio sensibile, nel luogo dove la preghiera, mezzo per rivolgersi alla dimensione del sacro con la parola o il pensiero, diventa immaginazione e concretizzazione attraverso l'opera astratta.
Per concludere l'enorme diversità tecnica e stilistica cui accennavo nelle prime righe di questo ultimo punto, viene proposta anche un'opera fotografica di Federico Ielusich, Black mirror. L'artista ha immortalato la sua immagine deformata su una superfice metallica, creando una sorta di altra dimensione, qualcosa che esiste solo se viene cercato e che mette in contatto con altre percezioni di noi stessi e del mondo che ci circonda. Siamo nell'ambito dell'arte Concettuale, che supera il rapporto con la materia e l'idea del manufatto artistico. Ielusich ci chiede di abbandonare la visione che abbiamo dell'arte e della sua funzione estetica, proponendoci di investigare su ciò che già esiste, che può essere osservato attraverso vari punti di vista e superfici, generando sempre nuove riflessioni.
Anziché lavorare su ulteriori forme espressive per tentare di coinvolgere un pubblico sempre più distratto, l'autore ci pone davanti all'eterno quesito: Cos'è l'arte? Quale è il suo scopo?
[1] Pronome neutro tedesco adoperato in psicanalisi, prima da G. Groddeck poi da S. Freud, per designare la fonte impersonale, inconscia, delle manifestazioni della vita istintiva.
[2] Verani Cesare, "Gli affreschi votivi del battistero e della chiesa di Santa Maria Etra Moenia di Antrodoco", Editrice "M. Rinaldi", Rieti, 2003.
[3] Con arte Naif si intende un tipo di produzione artistica priva di legami con la realtà culturale e accademica della società in cui è prodotta. Essa tende a rappresentare gli aspetti comuni della vita quotidiana in modo semplice, ingenuo e istintivo. Uno dei maggiori esponenti italiani fu il pittore Antonio Ligabue (Zurigo 1899- Gualtieri 1965).
[4] Movimento artistico nato dopo il 1918 come reazione culturale e artistica al periodo bellico. È fondato sul rifiuto delle esperienze delle avanguardie a favore dei linguaggi figurativi dell'arte storica tradizionale.
[5] Farulli Fernando (Firenze 1923-1997). Pittore e incisore italiano, nel 1947 aderì al movimento progressista Arte oggi. Dopo le prime tre mostre avvenute nel 1949 gli artisti partecipanti cambiarono il nome del gruppo in Astrattismo classico. Nel manifesto del gruppo l'artista è concepito come un operatore culturale rivolto alla ricostruzione della società civile.
[6] Fautrier Jean (Parigi 1898-Chatenay Malabry 1964). È stato uno dei maggiori esponenti dell'arte Informale.
[7] Movimento artistico statunitense nato dopo il secondo conflitto mondiale; talmente importante che contribuì a spostare la capitale artistica occidentale da Parigi a New York e più in generale dall'Europa agli Stati Uniti.
[8] Kline Franz (Wilkes Barre 191°- New York 1962). È stato un pittore statunitense tra i maggiori esponenti dell'Informale.
[9] Saulage Pierre (Rodez 1919-Rodez 2022). È stato un pittore e incisore francese.
[10] Mathieu Georges (Boulogne Sur Mer 1921-Boulogne Billancourt 2012). È stato un pittore francese.