Qui ma Altrove. L'essenza dell'assenza
Qui ma Altrove. L'essenza dell'assenza

QUI MA ALTROVE.
L'ESSENZZA DELL'ASSENZA.
"Frammenti di un inconscio condiviso", seconda edizione, 2023
Presentazione, Livio Caruso_DDS (Artista - Già coordinatore di Centri Diurni del CISI di Gorizia)
1.
Negli ultimi mesi del 2021 a Gorizia sono stati realizzati due eventi riguardanti le tematiche della follia (festival èStoria_Follia) e dell'alienazione (festival AlienAzioni), e su questo percorso si è concretizzato un evento artistico itinerante, sviluppato tra il Friuli Venezia Giulia e il Veneto, attraverso una esposizione di opere riguardanti il mondo dell'inconscio.
La prima edizione del progetto "Frammenti di un inconscio condiviso" ha visto realizzati quattro appuntamenti espositivi, durante tutto il 2022. L'evento è partito dalla Sala espositiva dell'Associazione Culturale per la promozione delle Arti Contemporanee "Prologo" di Gorizia, passando per le Sale espositive del Centro Culturale "Casa Candussi-Pasiani" di Romans d'Isonzo (GO), poi nel Refettorio dell'Abbazia di Santa Maria a Follina (TV), concludendosi a Gorizia, nuovamente nella Galleria d'arte "Prologo".
Il progetto è stato corredato da un Catalogo di 112 p., a colori, con le immagini delle opere e molti contributi testuali di personalità di rilievo locale e nazionale.
La buona riuscita del progetto, al quale hanno partecipato una decina di artisti isontini e due di origine albanese, residenti in Italia (Veneto e Marche), con l'inserimento di quattro artisti non viventi (raggruppati nella "sezione speciale" dell'evento), ha indotto alla riproposizione dell'evento per l'anno 2023, ampliandolo e aprendolo ad artisti della regione Lazio. Pertanto, la seconda edizione trova sviluppo in due luoghi diversi e distanti, anche culturalmente, tra loro. Tale aspetto rafforza il concetto espresso nel titolo che riguarda la presenza e la non presenza in un determinato luogo o spazio, "qui" e "altrove", inteso sia in senso mentale che in senso geografico.
Partecipano artisti laziali: Fabio Grassi, Pierina Malatesta, Alessandro Melchiorri, Agnese Melchiorri; artisti del FVG (* di cui 2 argentini): Daniele Bredeon, Livio Caruso_DDS, Guillermo Giampietro*, Laura Grusovin, Francesco Imbimbo, Cristina Suligoi, Maria Fernanda Veron* in collaborazione con Alberto Caruso; Pranvera Gilaj, albanese residente in Veneto; inoltre, nella Sezione speciale, partecipano: Roman Romanyshyn - ucraino, vivente e residente a Leopoli -, Lin Delija - albanese -, Maurizio Gerini e Flavio Riz - goriziani -, gli ultimi tre artisti non viventi.
Per il 2023, ovviamente, la tematica in linea generale rimane la stessa, ma indaga in maniera più particolare alcuni aspetti: presenza, assenza, ombra, oltre, altrove, rifugio, cura, terapia, confini e limiti.
Le tematiche, del resto, appaiono quanto mai significative e pertinenti al periodo post-pandemico che la comunità globale sta tutt'ora vivendo, con la tragica aggiunta della guerra in atto e di crisi migratorie di varia natura. Le relazioni umane interrotte da situazioni emergenziali, come quella sorta di reclusione che il mondo ha dovuto sopportare durante il Covid, dal tempo sospeso, da fughe e esodi, dalla scomparsa di persone e cose causata da molteplici accadimenti, da nascondimenti, da fragili confini geografici ma anche psicologici, da ambiti sociali sempre più sofferenti. Da tali eventi scaturiscono bisogni inattesi, sconosciuti, sentimenti di abbandono, voglia di fuga sia fisica che mentale. L'assenza e l'altrove, nel più ampio ventaglio di possibili interpretazioni e dimensioni, è il paradigma che sempre più invade e pervade la vita dei singoli e delle comunità. L'umanità è messa a dura prova soprattutto riguardo gli spazi mentali, consci e inconsci, terreno nel quale si sviluppano, in termini positivi ma soprattutto negativi, fobie e tensioni relazionali e identitarie. Ecco, perciò, che la "cura" risulta un elemento sempre più necessario all'individuo, ma spesso sempre meno accessibile. L'arte e la bellezza è il medium, il rimedio principale a molti di questi problemi.
Il Format progettuale intende rafforzarsi nei prossimi anni, proprio in concomitanza con l'evento Nova Gorica-Gorizia Capitale Europea della Cultura 2025, proseguendo nel 2026 per definire un più ampio progetto che riguardi l'arte locale con tutte le ricadute socio-culturali comunitarie e identitarie "di" e "per" questi luoghi. Inoltre, è aperto ad eventuali allargamenti verso ulteriori ambiti espressivi e culturali, con una particolare attenzione agli aspetti umani e antropologici, associativi, comunitari e inclusivi. Il progetto trova il suo perno essenziale nella figura di Franco Basaglia e di conseguenza nel Parco omonimo goriziano.
2.
Anche questa seconda edizione dell'evento non è stata pensata come un pacchetto espositivo pre-confezionato, da presentare sempre uguale nelle location individuate. Quest'anno è stata ideata come un'operazione artistica diffusa, non in itinere in senso stretto, comunque in evoluzione - in imagine ignari - per il visitatore, che dovrà spostarsi per poter vedere l'interezza della mostra frammentata. L'evoluzione sta, infatti, nella sequenza espositiva diffusa, presentata in luoghi diversi, connessi tra loro, qui ma altrove. Così come l'inconscio, nonostante nessuno lo possa descrivere e conoscere, sicuramente può essere definito come qualcosa che non è stabile, immobile e pre-costituito, bensì qualcosa in continua evoluzione e cambiamento, in movimento, situato in spazi diversi. L'evento è sviluppato durante due periodi, dal 14 luglio al 16 agosto e dal 15 ottobre al 10 novembre 2023.
L'evento si inaugura a luglio nelle Sale espositive del Museo "Lin Delija-Carlo Cesi" di Antrodoco, in contemporanea negli spazi del Monumento Nazionale Santa Maria Extra Moenia di Borgo Velino - Antrodoco e nelle due sale espositive della Galleria "Le Stelle" di Rieti, spostandosi poi nel mese di ottobre a Gorizia nella piccola ma elegante Galleria d'arte dell'Associazione "Prologo" e in alcuni spazi all'interno dello storico Parco Basaglia di Gorizia.
Alcuni degli artisti partecipanti hanno studiato e operato - o operano tutt'ora - nell'ambito dell'educazione, dell'insegnamento dell'arte e dell'arte-terapia, addirittura in situazioni specifiche come la disabilità, la psichiatria e le fasce deboli in genere. Con ogni probabilità questo aspetto ha inciso e incide tutt'ora nella personale attività creativa. In alcuni tale bagaglio culturale risulta una componente primaria, ed è evidente l'approccio emotivo rispetto al personale "fare arte", al legame con la loro esperienza lavorativa.
3.
A differenza dello scorso anno, per il 2023 si è deciso di affidare gli allestimenti e la curatela ad un esperto "storico dell'arte". A queste figure è stato chiesto di scrivere raffigurando alcuni aspetti del mondo che lega l'arte all'inconscio, le opere degli artisti viventi a quelle degli artisti scomparsi.
All'interno del catalogo tuttavia rimane il capitolo dedicato alle parole degli artisti (unite e vicine alle opere di ognuno), che spiegano e raccontano in prima persona i propri lavori.
In questo modo è possibile, e risulta interessante, confrontare e connettere i le considerazioni dei critici d'arte con le parole degli artisti. Un dialogo che si snoda attraverso pareri e posizioni, concordanti o discordanti che siano, che sono frutto della ovvia diversa postazione della visuale.
Per questa seconda edizione la "Sezione speciale" è stata pensata e predisposta assieme all'esposizione generale delle opere, in modalità diffusa e contemporanea, a differenza dello scorso anno che è stata presentata solamente all'ultimo appuntamento.
4.
Anche per questo secondo evento va ricordato che l'inconscio, soprattutto quello "collettivo", è uno "spazio unitario", indivisibile perciò non frammentario o frammentabile, ma che il titolo fa riferimento a qualcosa di diverso, a un inconscio condiviso e che il senso dei frammenti va considerato come una sequenza di immagini che appartengono all'inconscio di ognuno degli artisti, condiviso nel gruppo, come tanti frammenti giustapposti tra loro, in una sequenza mutabile e mutante dell'inconscio individuale del singolo artista che incontra gli altri, colto in frammenti e ricomposto in un racconto condiviso. Inoltre, le opere riguardano anche la follia, la dimensione fantasmatica, i sogni, le paure, le identità, la psicologia in generale, la spiritualità e quant'altro riguardi l'individuo.
È interessante riprendere il discorso sul "sogno" e i "dormienti", che nel catalogo del 2022 Francesco Imbimbo ha magistralmente trattato.
Perciò, prendo subito in considerazione due testi e due autori:
- Discorso sul sogno, Giorgio Antonelli, Roma, Lithos Editore, 2010, I Saggi 42, 725 p.
- Il sogno, Emilio Servadio, Milano, Garzanti, 1955, 1a ed.
Il primo, quello di Antonelli[1], mi è stato donato da Marco Menato assieme ad altri testi relativi all'inconscio, alla psicologia, alla psicanalisi e all'estetica, che fanno parte della collana specialistica edita dalla Lithos. Discorso sul sogno è un tomo assai sostanzioso, costituito da 41 capitoli, tutti di notevole complessità e questo catalogo non è il luogo per intraprendere discorsi di ordine psicanalitico, filosofico e scientifico. Ciononostante vale la pena citare alcuni capitoli e più specificatamente alcune pagine, dove Antonelli descrive alcuni aspetti assai importanti per comprendere il senso di questo progetto "QUI ma ALTROVE". I capitoli più inerenti sono in successione, dal 4. al 7., perciò l'intervallo da p. 77 a p. 131: Sogno; Il terzo stato; Sogni, poeti, filosofi; L'ipnosi dell'artista.
Innanzitutto Antonelli nel libro scrive ripetutamente di tre stati - stadi della visione -: stato di veglia, stato di sogno e terzo stato: questo è il più profondo e occupa l'anima - anemos. Il mondo delle forme immaginali pervade in diversa misura e modalità tutti e tre gli stati. «Il cervello umano e soggetto all'alternanza della veglia, del sonno senza sogni e del sonno con i sogni»[2]. Sognare, ma anche essere sognati, il sogno è qui ma anche altrove. E riguardo tale concetto, segnala la celebre frase di Rimbaud[3]: "Io è un altro". «Allo stesso modo si potrebbe affermare che la veglia è un altro e, ancora, che il sonno è un altro. Un transito in stati contigui, in successione continua nella vita di ogni essere umano.
Sulla questione dell'anemos, da un articolo di Anna Maria Dell'Agata, riporto un breve stralcio scritto da Giorgio Antonio Manganelli[4]:
[...] ... anima ventosa del vivere, nell'anima il veloce ànemos…
noi siamo vivi in quanto possediamo un vento interiore, noi siamo
eterni come partecipi del vento del mondo, il vento, quello che
increspa l'onda della mente e senza il quale si resta inchiodati alla
linea d'ombra. [...]
Il termine anima è la versione femminile di animo, la cui etimologia è riconducibile al latino animus, con il significato di spirito, che a sua volta corrisponde al greco ἄνεμος (anemos) = vento.
L'anima quindi è quel principio presente in tutti gli esseri viventi, talmente ineffabile che gli antichi non seppero indicarla se non ricorrendo all'idea del vento, la cui presenza non essendo visibile è provata dagli effetti che provoca e non dalla diretta percezione di essa. Spesso, però, il concetto di anima viene confuso con quello di spirito: in realtà il primo è un concetto "orizzontale" appartenente a tutti gli esseri viventi, mentre il secondo esprime una prospettiva "verticale" della dimensione divina che va verso quella propriamente umana.
Infine, il testo di Servadio[5] è, invece, un libricino, una sorta di compendio, formato da otto brevi capitoli che in un certo qual modo sono un formato ridotto rispetto varie parti del volumone di Antonelli, seppur antecedente di oltre un cinquantennio. Potremmo dire in altro verso che Antonelli ha enormemente ampliato e sviluppato il contenuto del libretto di Servadio, che viene citato nella bibliografia specifica a p. 673.
5.
La questione del Senza titolo di un'opera, in questa seconda edizione assume un particolare significato direttamente connesso all'essenza dell'assenza. A tal proposito è interessante riportare quanto ha scritto Giuseppe Di Napoli[6] su Doppiozero[7]:
[…]
Questo genere di opere rinuncia al titolo perché ciò che mostra è di per sé esaustivo, del tutto eloquente e univoco, oppure perché è stato concepito in modo da richiedere la specificazione di non avere un titolo, il che è qualcosa di molto differente rispetto al fatto di mostrarsi come un artefatto che può farne a meno. Se si tratta di opere che non hanno necessità di avere un titolo, può significare che si devono soltanto guardare perché il loro contenuto è "semplicemente" acquisibile per via visiva e va riferito solo a quello che l'occhio vi vede; oppure può voler dire che esse non sono "titolabili" in quanto non definibili con le parole; o infine perché non prevedono un unico titolo, ma sono aperte a molteplici titoli che, di volta in volta, a seconda di come vengono interpretate, ogni osservatore conferirà loro. Nella logica di quest'ultima accezione, la mancanza del titolo non va intesa come denuncia di un'assenza di significato, bensì come meccanismo atto a presentare l'opera in quanto artefatto caratterizzato da un bordo intenzionalmente dischiuso, aperto e in attesa di completamento o definizione, funzione che spetta all'osservatore il quale, con la sua immaginazione, è chiamato a completare l'opera assegnandole un titolo.
[…]
Si rimanda alla attenta lettura dei contributi di Francesco Imbimbo e di Marco Menato, apparsi nel primo Catalogo pubblicato nel 2022, nei quali riferiscono la loro posizione al riguardo. Di certo l'argomento è assai interessante, la letteratura sul tema è immensa. Quest'anno il gruppo ha riflettuto anche su altre questioni, connesse all'opera e al titolo: la doppia datazione, i titoli multipli o intercambiabili, le didascalie esplicative.
Se un'opera è stata venduta, con un titolo determinato, manterrà per sempre quel titolo, al di là delle "impressioni e emozioni" che nel tempo potrà restituire osservandola, analizzandola, studiandola. Se l'opera, viceversa, rimane nell'atelier dell'artista, potrebbe essere "ripresa", modificata, ampliata (addirittura cancellata) e pertanto assumere un'eventuale doppia datazione, un altro titolo o un doppio titolo… molteplici configurazioni! Il motivo più ricorrente della doppia datazione, comunque, coincide con l'intervallo di inizio e fine della realizzazione dell'opera, che può risultare molto lungo, su più annate!
Ma accade anche che un'opera "senza titolo", venduta e acquisita da un collezionista, venga titolata dal compratore: sarebbe assai interessante conoscere e capire il processo e la ragione di assegnazione di un determinato titolo. Questo comunque deriverebbe dalle sensazioni, dalle emozioni che il collezionista, l'osservatore, prova dinnanzi all'opera, oramai soggetto a sé stante (distante dal suo creatore), oggetto capace di vita propria!
6.
Il Qui ma Altrove. In questo catalogo è inserita una sostanziosa parte dedicata alla poesia. Vi sono alcune poesie di Federico Ielusich, che per l'occasione ha anche realizzato le immagini derivate dai suoi versi scritti. Sono inserite anche due poesie di Maurizio Gerini, l'artista goriziano scomparso nel 2018. Inoltre, l'opera proposta da Maria Fernanda Veron, una mixed media con sottofondo sonoro creato da Alberto Caruso, è stata appositamente realizzata per queste esposizioni considerando il concetto del transfert in psicanalisi, partendo dal concetto di Rimbaud: "Je est un autre - Io è un altro":
«Io è un altro. Se l'ottone si sveglia tromba, non è affatto colpa sua. Per me è evidente: assisto allo schiudersi del mio pensiero: lo osservo, lo ascolto: lancio una nota sull'archetto: la sinfonia fa il suo sommovimento in profondità, oppure d'un balzo è sulla scena. Se i vecchi imbecilli non avessero trovato, del "me stesso", soltanto il significato falso, non avremmo da spazzar via i milioni di scheletri che, da sene proclamano gli autori!»
«Voglio essere poeta, e mi sforzo di diventare veggente: mi rendo conto che non riuscite a capirmi, ma non saprei come spiegarmi ulteriormente. Si tratta di raggiungere l'ignoto attraverso lo sgretolamento di tutti i sensi. Le sofferenze sono indicibili, ma è necessario essere forti, essere nati poeta, e io mi sono riconosciuto poeta. Non è colpa mia. È falso dire: io penso; si dovrebbe dire: Mi si pensa. – Scusi il gioco di parole. Io è un altro.»
«Quindi, tanto peggio per il pezzo di legno che si ritrova violino!».
Leggere con Lacan l'affermazione "Io è un altro" significa ammettere che l'origine del soggetto non è l'interiorità, bensì l'esteriorità, il contatto costante che l'Io ha con l'Altro, l'incontro con l'esterno, o meglio, gli incontri che, uno dopo l'altro, si stratificano e formano l'identità stessa del soggetto.
Quando Rimbaud afferma che "Io è un Altro", "Io è" e non già "io sono", è la soggettività in quanto tale ad essere messa in questione, se non addirittura negata, perché, in fondo, dire "Io è un Altro" significa ammettere che l'Io "non è padrone in casa propria" - per dirla con Freud - che ogni individualità è, in realtà, abitata da un'alterità, da un Altro che la perturba e la frammenta, da un abisso insondabile che assedia e tormenta.
https://arenaphilosophika.it/je-est-un-autre-lacan-lettore-di-rimbaud/
La questione dell'Io e l'altro (qui-altrove) è presa in considerazione, dal punto di vista lacaniano, anche da Anna Maria Dell'Agata:
[...] Diceva Lacan che sogno e opera d'arte si nutrono della stessa sostanza, anche se nascono con la complicità di diversi materiali. L'oggetto di entrambi è la verità dell'uomo, grande obiettivo degli studi e della tecnica psicoanalitica. [...]
[...] il gesto creativo risponda al profondo bisogno dell'umanità di cercarsi, come forma e come linguaggio, di pescare negli occhi dell'altro per capire il mondo e se stessi. Paradossalmente l'opera non si fa da soli, dunque non ha un solo autore, né tantomeno prevede un unico interprete delegato alla critica. [...]
Dell'Agata A. M., Discorsi sul ritratto e l'interpretazione, «ArteScienza», Anno IV, N. 8, pp. 247-264.
Dicendo che l'IO è il Qui e l'ALTRO è l'altrove, parliamo dell'universo mentale dell'uomo, della mappa psichica che permette di riconoscere, di riconoscersi, in un ambito astratto e al tempo stesso assolutamente concreto.
Nel realizzare le opere per queste esposizioni, osservandole risulta evidente che alcuni artisti abbiano interpretato il qui e l'altrove anche in senso geografico, urbanistico; ma anche attraverso oggetti assunti a simbolo, come il mare, il labirinto, la sedia, la porta, e molto altro. È particolarmente interessante e assai singolare che, nonostante molti non si conoscano di persona né attraverso internet, vari artisti abbiano utilizzato la stessa simbologia, soprattutto la sedia. Vuota o occupata, oppure attraverso un paradosso: una donna seduta ma la sedia è altrove; la sedia vuota ma piena di oggetti che riferiscono di qualcuno che è altrove; l'ombra di una persona seduta su una sedia a rotelle, ambedue altrove, non più esistenti; una donna-sedia, che alle spalle ha un mare, che la divide dai luoghi della sua origine; il mare come spazio e limite di separazione, di orizzonti sconosciuti e altrove, visti dal "Qui"; una persona seduta sulla sedia, sprofondata nei pensieri, in un'altra dimensione. In alcune incisioni, tra le forme e i segni astratti compaiono palazzi di città desolate, che parlano di una presenza-non presenza, dell'alienazione e della solitudine. Tutte queste declinazioni del "Qui ma Altrove" sono rappresentate in forma figurativa e ritrattistica. Più complesso percepire il qui e l'altrove nelle opere astratte o informali. Ciononostante, nel gesto, nella gestualità, nelle pennellate lunghe o corte, nervose o pacate, colorate o no, aperte o ingarbugliate, più o meno inconsce o pensate, si riscontra tutto il mondo inconscio dell'artista. L'opera è il Qui che rappresenta l'Altrove, il dipinto e l'artista, l'esterno e l'interno - o viceversa. La concretezza dell'opera rappresenta l'astrattezza dell'inconscio, del non visibile nel visibile del gesto.
E sul significato del dipingere il mare, sono illuminanti le parole di Rabindranath Tagore, nella poesia Sulla spiaggia di mondi senza fine, i bambini giocano (Londra, 8 ottobre 1966) nonché di Donald Winnicott, in Gioco e realtà:
«Nel mio scritto in onore di James Strachey dissi: Freud non aveva una sede nella sua topografia della mente per l'esperienza di ordine culturale. Egli conferì nuovo valore alla realtà psichica interna, e da ciò scaturì un nuovo valore per cose che sono reali e chiaramente esterne: Freud usò la parola sublimazione per indicare la strada verso una sede dove l'esperienza culturale ha senso, ma forse egli non arrivò a dirci dove nella mente ha sede l'esperienza culturale.
Ora io desidero allargare quest'idea e fare uno sforzo per formulare in maniera positiva qualcosa che possa essere criticamente esaminato. Userò per questo il mio personale linguaggio. La citazione di Tagore mi ha sempre affascinato... Quando cominciai ad essere freudiano, io seppi che cosa voleva significare. Il mare e la spiaggia rappresentano infiniti rapporti tra uomo e donna... poi come studioso del simbolismo inconscio, seppi che il mare è la madre e sulla riva del mare il bambino nasce. Nel frattempo giocavo con il concetto di "rappresentazioni mentali", e con la descrizione di queste in termini di oggetti e di fenomeni situati nella realtà psichica personale ritenuta interna; inoltre ho seguito l'effetto di come operino i meccanismi mentali di proiezione e dell'introiezione. Ora sono giunto all'argomento di questo capitolo e alla domanda: se il gioco non è né al di dentro né al di fuori, dov'è? Fui vicino all'idea che esprimo qui nel mio lavoro: "la capacità di star solo".»
7.
L'essenza dell'assenza: l'assenza dell'immagine, del visibile. L'inconscio, la spiritualità, la trascendenza, sono dimensioni che sentiamo potentemente ma non ne abbiamo conoscenza diretta, spesso non ne abbiamo consapevolezza. Sentiamo ma non sappiamo. Nel momento del silenzio, dell'immobilità, del sonno, avvengono in noi quei processi che ci permettono di entrare in contatto con tale assenza, che ci permette di captare e percepirne l'essenza, che tuttavia rimane in assenza di spiegazioni.
L'assenza di una persona!
L'assenza della parola, come nei primi mesi di vita. L'inconscio non parla, non pensa. Conosce ma non dice. Nell'artista l'inconscio dice, parla attraverso, il gesto, il segno, la superficie, il colore. Esprime l'ombra dell'oggetto, conosciuto non pensato. Queste ultime parole sono il titolo di un testo di Christopher Bollas[8], particolarmente attinente alle questioni dell'Io, del Sé, dell'Altro e del pensiero:
Christopher Bollas, L'ombra dell'oggetto. Psicoanalisi del conosciuto non pensato, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2018 (edizione originale: Christopher Bollas, The shadow of the object. Psychoanalysis of the unthought known, London, Free association books, 1987).
Il libro è suddiviso in tre sezioni: L'ombra dell'oggetto, Stati d'animo, e il Controtransfert.
Le declinazioni de "L'essenza dell'assenza" sono molteplici (sarebbero infinite).
Essenza. Assenza. Oltre. Nell'assenza si può ritrovare l'essenziale, nell'assenza di qualcosa si può rivalutare l'importanza della cosa stessa, nell'assenza della libertà si può ritrovare il legame con il nostro limite.
Quello che manca, a volte,
è quello che serve.
Una essenza fatta di oltre,
di infinite parti di un poi,
di quel poi
non ancora scoperto,
non ancora esplorato.
Manca il guardarsi,
e manca anche il saper guardare,
Manca il "come dovrebbe essere", perché basta il "com'è ".
Manchiamo di Avanti.
Manchiamo di coraggio.
Manchiamo di coraggio di avere paura.
Perché molte volte manchiamo di vivere.
*[9]
8.
Isole, labirinti, confini, limiti e altre dimensioni. La vita e l'inconscio impongono alla ragione di misurarsi e di trovare continuamente spiegazioni e soluzioni alle sollecitazioni che dal nostro interno affiorano verso l'esterno e viceversa.
L'artista trova nel suo creare una risposta concreta nell'opera realizzata, finanche fosse inspiegabile a parole.
Isole, labirinti, confini, limiti e altre dimensioni, sono i luoghi che da Qui ci portano Altrove.
Esiste un diritto, di cui spesso l'uomo ha bisogno, scarsamente conosciuto: il "diritto di fuga". Seppur poco considerato come termine di ragionamento, questo diritto viene largamente utilizzato, nel quotidiano, da ognuno di noi. Ci assentiamo, ci lasciamo andare - a volte fino alla regressione -, fuggiamo in Isole sconosciute, desiderate. Le raggiungiamo in solitudine, le vogliamo deserte, curative. Isole come rifugio, come cura.
Sono, così, come altre dimensioni, che si raggiungono attraverso il superamento di un limite, di un confine, di una misteriosa porta che ci introduce altrove.
A volte in percorsi tortuosi o magici o paurosi o splendidi. Queste strade sconosciute, che non sappiamo dove ci portano, ma la cui ricerca della via d'uscita, che sia a ritroso e conosciuta, oppure un nuovo pertugio, un inaspettato passaggio, si trasformano in nuova vita, in superiore consapevolezza. Questo cammino labirintico, a volte diviene una gabbia, una prigione anche dolorosa. Ed ecco nuovamente il diritto a fuggire, a cercare ancora.
Cos'è l'arte se non anche questo?
Note piè di pagine:
[1] Psicoterapeuta, insegna Psicologia Dinamica alla Scuola di specializzazione a indirizzo analitico ATANOR (L'Aquila). È docente presso il Centro Studi di Terapia della Gestalt di Milano (CSTG). www.giorgioantonell
[2] Upanishad.
[3] Jean Nicolas Arthur Rimbaud (Charleville, 20 ottobre 1854 - Marsiglia, 10 novembre 1891) è stato un poeta francese.
[4] Giorgio Antonio Manganelli (Milano, 15 novembre 1922 – Roma, 28 maggio 1990) è stato uno scrittore, traduttore, giornalista, critico letterario, curatore editoriale e docente italiano, nonché uno dei teorici più coerenti della neoavanguardia.
[5] Emilio Servadio (Sestri Ponente, 14 agosto 1904 - Roma, 18 gennaio 1995) è stato uno psicoanalista, parapsicologo, esoterista e giornalista pubblicista italiano, uno dei fondatori della psicoanalisi italiana.
[6] Giuseppe Di Napoli (1952) insegna Metodologia progettuale della comunicazione visiva e Teoria e pratica del disegno prospettico all'Accademia di Belle Arti di Brera e Teoria della percezione e psicologia della forma all'Istituto Europeo del Design di Milano. Per Einaudi ha pubblicato Disegnare e conoscere. La mano, l'occhio e il segno (2004); Il colore dipinto. Teorie, percezione e tecniche (2006); I principi della forma. Natura, percezione e arte (2011); Nell'occhio del pittore. La visione svelata dall'arte (2016) e Leonardo. Lo sguardo infinito (2019).
[7] Giuseppe Di Napoli, Raffigurano o parlano? / L'immagine senza titolo, 12 marzo 2017, "Doppiozero" rivista culturale e casa editrice digitale.
[8] Christopher Bollas, nato il 21 dicembre 1943 negli Stati Uniti, è uno psicoanalista "indipendente" della British Psychoanalytic Society, vive e lavora a Londra.
[9] 26.05.2020 - https://laltrapartedime.altervista.org/lessenza-che-manca/
VISITE GUIDATE
Arianna Petricone (Storica dell'arte - Direttrice del Museo "Lin Delija-Carlo Cesi" di Antrodoco (RI)
1.
Ospitare mostre temporanee è per un museo un onore e un piacere. Esse, infatti, sono sempre un'eccellente occasione di ricerca, educazione ed anche di svago, attraverso le quali è possibile dare non solo completezza alla dimensione comunicativa dell'istituzione, ma anche offrire ai visitatori nuove occasioni per tornare in Museo, il quale, a sua volta, attraverso le mostre temporanee vive nuove vite attraverso le nuove opere esposte.
Non è sempre facile organizzare mostre temporanee e per questo sono personalmente molto grata a Livio Caruso, e a tutti coloro che a diversi livelli hanno collaborato con lui, per la realizzazione di questo progetto che ha coinvolto il Comune di Antrodoco ed in particolare il Museo civico.
Questa mostra, definita nella "Presentazione" un'operazione artistica diffusa, si svolge in diversi luoghi, a luglio parte dalla cittadina di Antrodoco che offre due spazi espositivi, il Museo civico e la chiesa di Santa Maria Extra Moenia, per spostarsi poi a Rieti prima nelle sale della Galleria "Le Stelle" di Rieti poi, ad ottobre, a Gorizia nella Galleria d'arte dell'Associazione "Prologo" e in alcuni spazi del Parco Basaglia.
2.
Il Museo della città "Lin Delija-Carlo Cesi" di Antrodoco, è un museo molto particolare, fondato nel 2002 all'interno del settecentesco monastero di Santa Chiara dal Comune, grazie anche alle numerose donazioni di collezionisti privati. Il museo nasce con lo scopo precipuo di porre in dialogo l'arte di due artisti molto diversi tra loro: Carlo Cesi[1], pittore e incisore seicentesco della cerchia di Pietro da Cortona antrodocano per nascita, e Lin Delija[2], pittore albanese del novecento antrodocano per scelta.
La collezione del museo è costituita da un consistente nucleo di opere pittoriche e di disegni di Lin Delija e da alcune incisioni di Carlo Cesi. Quando queste ultime sono entrate in collezione, acquisite attraverso un progetto della Regione Lazio[3], per una serie di fortunate circostanze sono state donate al Museo, dalla moglie Laura Leli, anche delle opere di Umbro Battaglini affinché queste potessero non solo dialogare con quelle del maestro cortonesco[4] ma anche permettere una più completa comprensione, da parte del fruitore, della complessità della tecnica della stampa d'arte e delle molteplici potenzialità espressive dell'incisione contemporanea.
Le opere appartenenti alla mostra temporanea allestite nelle sale del museo arricchiscono, senza snaturarla, un'esposizione già molto ampia. L'incontro e, talvolta, lo scontro tra queste opere è un interessante riflessione che ognuno potrà fare passeggiando tra le sale che si snodano nell'insolito percorso tortuoso che caratterizza il museo civico e che è stato voluto fortemente dai curatori del progetto museografico Roberto Bua e Silvia Cuppini, perché richiamasse alla mente del visitatore i vicoli che contraddistinguono il centro storico di Antrodoco.
3.
La tematica fondamentale e che coerentemente si ritrova nella quasi totalità delle opere esposte nella mostra è "l'altrove", tema in realtà ricorrente anche in moltissime opere del maestro Lin Delija, sotto diversi punti di vista.
Il primo è forse il più evidente, considerando i soggetti di molte opere, è l'altrove inteso in senso religioso. Lin Delija infatti pur essendo un artista dei primi del '900 era profondamente cattolico, aveva con la religione "un rapporto quasi viscerale, intenso, drammatico"[5] che ha caratterizzato non solo la sua vita, le sue scelte ma anche e soprattutto il suo lavoro. In un'epoca storica in cui l'arte non era più, come in passato, uno dei veicoli principali delle Sacre Scritture e della conoscenza cristiana, Lin Delija torna alle origini, scegliendo e rappresentando iconografie antiche ma nuove, poiché presentate con punti di vista inediti e interessanti.
Dunque l'altrove è per il Lin Delija cattolico certamente il luogo della vita che verrà all'indomani del giudizio universale, il luogo nel quale ogni buon cristiano spera di trovarsi alla fine dei tempi.
D'altra parte, rimanendo su temi molto più terreni, ma non meno intensi emotivamente, Lin Delija pur avendo scelto Antrodoco come luogo in cui vivere e lavorare e pur essendo riuscito ad instaurare numerose relazioni importanti e di valore in Italia, mantenne sempre una fortissima nostalgia per il suo Paese di origine e per il suo popolo, lontano ed in difficoltà.
Questa forte nostalgia lo portano ad indagare l'altrove all'interno delle sue opere, alcune delle quali sono ambientate ad Antrodoco o la rappresentano, richiamando però sempre, con molta forza Scutari, il maestro infatti riconosceva in molti luoghi antrodocani tratti della sua terra natia. In alcune opere invece sono rappresentate scene, più o meno gioiose, abitate da numerosi personaggi, alcuni dei quali indossano capi d'abbigliamento tipicamente albanesi; mentre altre opere sono ritratti, spesso della gente del posto, che fu per Lin Delija una galleria inesauribile di tipi e modelli da ritrarre.
Dunque nelle opere di Lin Delija emerge spesso, e con molta forza, la tematica dell'esule, che vive altrove, rispetto alla sua terra d'origine e alla solitudine estraniante che questa condizione comporta.
Le numerose opere temporanee esposte, sono estremamente eterogenee, per tecnica, stile, soggetti, etc., sono infatti presenti opere di pittura, grafica, scultura, lavori astratti ed altri figurativi, pertanto ad un primo sguardo rapido, potrebbero sembrare apparentemente incoerenti tra loro o poco affini con le opere ed il contesto circostante. In realtà non è così. Si potrebbe parlare piuttosto di nuclei tematici ai quali ricondurre gruppi di opere, unite però tutte da un unico, fondamentale, filo conduttore: l'altrove.
Il primo nucleo, notevolissimo ed estremamente particolare, è rappresentato dagli ex libris e dalle incisioni di Alessandro Melchiorri e Roman Romanyshyn, che si affiancano alle opere presenti nella collezione permanente del museo.
La tecnica dell'incisione, o stampa d'arte, indica l'operazione mediante cui, da una matrice, si ottengono uno o più esemplari di un'immagine impressa generalmente su carta. La maggior parte delle opere in mostra, comprese quelle di Carlo Cesi ed Umbro Battaglini, sono acqueforti.[6]
Gli ex libris nascono invece come "timbri" da apporresul frontespizio dei libri per designarne l'appartenenza ad una famiglia e/o ad una biblioteca. Nei secoli man mano che i libri diventavano oggetti di uso comune, l'ex libris ha perso la sua originale funzione, ma non è sparito, bensì si è evoluto, sono mutate le tecniche di esecuzione, seguendo anche il progresso tecnologico, e reinventandosi ha attraversato i tempi.
Un punto di contatto interessante tra gli ex libris e l'incisione avviene tra il XVI e il XVII secolo, a seguito dell'introduzione della stampa, il contatto sta non solo nella tecnica, poiché una delle prime tecniche di stampa adottata fu la Xilografia[7] ma anche nel fatto che tra i proprietari dei volumi, prodotti ormai in gran quantità rispetto a prima, nacque l'esigenza di marcare la proprietà, non cono una semplice "timbro" o con una scritta ma con un "marchio" decisamente e volutamente più elaborato, ricercato, ornamentale e riconoscibile, che permettesse subito di comprendere il livello culturale e l'agiatezza di chi lo possedeva. Dunque venivano realizzati su fogli appositi, stampati e poi incollati all'interno della copertina. Tra i vari artisti che si cimentarono in quest'arte uno fu Albrecht Dürer[8], probabilmente il più grande incisore di tutti i tempi.
Sia gli ex libriis che le incisioni sono forme d'arte definibili "di nicchia" che hanno avuto, nei secoli, fortune alterne ma senza ombra di dubbio una grande importanza.
Le incisioni dipinte di Alessandro Melchiorri sono molto peculiari e moderne, presentano una scelta materica diversificata che va da inserti, ai collage e ai graffiti, che raffigurano ambientazioni oniriche con confini difficilmente delineabili e colori volutamente poco realistici, quasi monocromi.
Le tre incisioni (acquaforti) di Umbro Battaglini[9], entrate nella collezione permanente del Museo nel dicembre 2022, sono caratterizzate da una fortissima e differente cromia e matericità, che ricordano la predilezione dell'autore per la scultura, e da un'astrazione quasi totale, ad eccezione di quel sole nero, solitario ma di un cupo splendore.
Battaglini era prevalentemente uno scultore ma in poco meno di un centinaio di opere ha voluto misurarsi con l'incisione, sperimentando le molteplici potenzialità della tecnica.
L'universo narrato nelle minute, ma estremamente preziose, opere di Roman Romanyshyn racconta e permette di immergersi in storie mitiche e mitologiche dall'Odissea di Omero alle vicende dell'esilio di Napoleone a Sant'Elena, utilizzando uno stile ed una tecnica antica ma con tratti e innovazioni moderne. La scelta della rappresentazione dei personaggi orientati nello spazio in maniera non realistica, i colori, le forme e le espressioni ci conducono immediatamente altrove, nella nostra mente, nelle nostre reminiscenze scolastiche (e/o universitarie) e nella nostra immaginazione, rapita da racconti di isole e storie lontane.
Il secondo nucleo tematico è composto dalle opere "informali" che esprimono a pieno l'inconscio nel gesto e nel segno. Nell'opera di Bredeon troviamo una pittura astratta dove è evidente l'importanza della composizione, diversa dalla "pacatezza" anche cromatica di Suligoi e dalla scelta cromatica, allegra e quasi disordinata di Malatesta.
Il terzo ed ultimo nucleo tematico di opere, è il più consistente, è raccoglie tutte quelle opere che si potrebbero, banalizzandole, definire "formali", ovvero rappresentazioni con soggetti riconoscibili, che "hanno una forma", opere come quelle di Livio Caruso_DDS, Maria Fernanda Veron, Pranvera Gilaj e Agnese Melchiorri, ritratti o comunque rappresentazioni reali di soggetti indagati osservando, in primis, il loro io più interiore, anche quando il volto non si vede, perché è volutamente non definito o girato mostrando la nuca, anche quello è significativo, c'è un messaggio ben preciso.
Sono soprattutto queste le opere che, attraverso i personaggi, cercheranno dentro al museo un dialogo ed un confronto con l'estesa galleria di personalità che abitano le opere della collezione permanente. Lin Delija aveva certamente una fascinazione speciale nei confronti della figura femminile, infatti molte delle opere esposte rappresentano donne, tutte molto diverse tra loro, ci sono le donne del racconto evangelico, preoccupate, straziate, affrante, segnate in volto dal dolore. Ci sono le Madonne, le Madri e le Maddalene. Ci sono le donne incontrate e quelle solo sognate. Le donne reali che abitano Antrodoco e le donne senza i lineamenti del volto definiti ma la cui condizione o predisposizione d'animo è riconoscibile dai modi, dagli abiti o dagli atteggiamenti. Ci sono lavoratrici instancabili, ritratti di bambine, di giovani, di anziane, ognuna di loro indagata nella sua emotività, espressa sia nelle movenze e nei piccoli gesti, sia nelle espressioni del volto. Donne abbandonate, fiere, enigmatiche, affascinanti, misteriose e innamorate. Uno studio vivo e vibrante di tipi umani femminili che prosegue anche nei numerosi disegni e in molte altre opere, purtroppo non esposte, e conservate nei magazzini del Museo. Questi infiniti tipi e sentori dell'animo si ritrovano perfettamente anche nelle opere della mostra temporanea, accumunate dalla ricerca dell'emotività e, ancora una volta, dall'altrove verso cui tendono gli stadi d'animo di molte delle donne rappresentate.
Una "coda" del gruppo tematico "formale" è rappresentato dalla perfezione imperfetta dei dettagli della natura di Laura Grusovin e dall'incredibile opera onirica di Imbimbo che ci porta a cavalcare l'Aurora, così come Lin Delija ci conduce all'osservazione e alla scoperta della Luna e di Antrodoco nella pittura dei suoi paesaggi.
[1] Carlo Cesi (Antrodoco 1626 - Rieti 1681) studiò disegno e pittura a Rieti, per poi trasferirsi, ancora giovane, a Roma, dove fu allievo di Pietro da Cortona e, grazie al quale, ottenne le prime commissioni. Di questa produzione giovanile è andato tutto perduto o comunque è difficilmente identificabile, a causa della scarsità di notizie. Fu però un artista di successo sia per la produzione di affreschi che per la produzione pittorica. Ma la sua fama è legata soprattutto alla sua attività di incisore, realizzò, infatti, numerose riproduzioni di affreschi dei grandi maestri del primo Seicento romano. Si dedicò per molti anni all'insegnamento, fu investito dell'onorificenza di camerlengo dell'arte dei pittori fino al 1670 e nel 1675 principe dell'Accademia di San Luca.
[2] Lin Delija (Scutari 1924 - Roma 1994) studiò presso scuole francescane, per poi arruolarsi forzosamente nell'esercito, dal quale a diciotto anni disertò per fuggire in Croazia, dove frequentò l'accademia d'arte di Zagabria. Dopo avventurose peregrinazioni arrivò a Roma, dove grazie ad una borsa di studio, terminò la formazione artistica all'Accademia di Belle Arti, con, tra gli altri, il pittore Mario Mafai. È in questo periodo che entrò in contatto con altri intellettuali albanesi profughi. Dopo essersi diplomato all'Accademia, partecipò a numerose mostre collettive ed espose in alcune delle gallerie italiane più importanti. Nel 1963 si trasferì definitivamente ad Antrodoco, dove continuò a lavorare instancabilmente e ad esporre, in tutta Italia in mostre personali e collettive, arrivando anche a New York. Negli ultimi anni, rivolse la sua esperienza all'insegnamento, fondando, ad Antrodoco, la libera accademia di Villa Mentuccia intitolata proprio a Carlo Cesi.
[3] Legge Regionale 24/2019 - Avviso pubblico per interventi a favore dei servizi culturali inseriti nelle organizzazioni regionali O.B.R., O.M.R. e O.A.R. per l'anno 2022.
[4] Lione Pascoli nella sua opera "Vite de' pittori, scultori, ed architetti moderni" lo ricorda tra i più fedeli allievi di Pietro da Cortona, grazie al quale ottenne le prime commissioni ed un rapido successo che lo portarono ad avere importanti commissioni e a lavorare con e per Pietro da Cortona.
[5] Marianna Accerboni, "Lin Delija. In viaggio verso casa".
[6] L'acquaforte è una tecnica di incisione calcografica destinata alla stampa, nella quale l'artista riporta su una lastra metallica, generalmente in rame, ricoperta da uno strato di cera il disegno, incidendo la superficie con una punta d'acciaio, asportando la cera e scoprendo così il metallo. Immersa la lastra in un bagno acido, questo, corrodendo il metallo non protetto nei solchi incisi, forma il disegno sulla superficie della lastra. Tolta dall'acido e liberata dalla cera, questa è pronta per essere inchiostrata e procedere quindi alla stampa su carta.
[7] La xilografia, o incisione sul legno, (incisione su legno), che avveniva per mezzo di torchio, ed è "a rilievo", cioè il disegno è in superficie, e non scavato sulla matrice, Incisione eseguita mediante l'utilizzo di particolari strumenti di ferro taglienti (bulini, scalpelli, sgorbie, etc.) con i quali lo xilografo scava le parti bianche del disegno e, a lavoro ultimato, inchiostrando il rilievo, ottiene la stampa mediante pressione manuale o per torchio.
[8] Albrecht Dürer (Norimberga 1471 - 1528) è stato uno dei maggiori rappresentanti del rinascimento nordeuropeo, incisore, disegnatore, pittore matematico e letterato, è considerato tra i più grandi artisti tedeschi di sempre.
[9] Umbro Battaglini (Foligno 1929 - Stroncone 2007), Accademico di merito, per la scultura, dell'Accademia di Belle Arti "Pietro Vannucci" di Perugia dal 1980. Ha svolto attività nel campo della scultura, della pittura e della grafica e ha partecipato ad esposizioni personali e collettive. È stato membro di varie equipe di architettura con cui ha realizzato progetti di arte sacra, civile e design. È stato docente, presso l'Istituto Statale D'Arte di Terni dal 1963 al 2000, di Disegno professionale e Progettazione metalli.
Alessandra Scipione (Storica dell'arte)
1.
Questa esposizione affonda le sue radici nel 2019, quando Livio Caruso, in seguito ad una serie concatenata di eventi fortuiti, organizzò presso la Biblioteca Statale Isontina la mostra dedicata al maestro Lin Delija, intitolata Lin Delija. In viaggio verso casa,generando così un nuovo susseguirsi di iniziative dedicate al pittore, fino a coinvolgere alcune sue opere nella "Sezione speciale" della prima edizione di questo progetto itinerante dedicato all'inconscio.
La "Sezione speciale", essendo nata in corso d'opera, fu presentata durante l'ultima tappa della mostra, mettendo in campo le creazioni di quattro artisti scomparsi, che invece, in questa seconda edizione, sono state pensate e predisposte insieme all'esposizione generale del progetto.
Nella storia dell'arte contemporanea l'inconscio riveste una parte fondamentale della produzione artistica, che da un lato risulta essere il frutto naturale dall'Es[1], dall'altro, il risultato ragionato della volontà umana. La percezione di questa volontà, essendo inevitabilmente condizionata dall'inconscio, non corrisponde mai al risultato premeditato. Un po' come quando cerchiamo di raccontare un sogno, ci figuriamo chiaramente le immagini che abbiamo visto e vissuto, ma non riusciamo in nessun modo a fare una narrazione degna del mondo parallelo in cui abbiamo fluttuato durante il sonno, tanto che alcune volte diventa frustrante cercare di raccontare a qualcuno la visione che ci ha destati con tanto affanno o piacevolezza; altrettanto credo che succeda agli artisti nella trasposizione delle loro opere dalla mente alla tela, o su qualsiasi altro supporto. Lì immagino riflettere sulle future creazioni, figurarsele nella mente, covarle dentro e poi metterle al mondo sotto mentite spoglie, deliberatamente o inconsapevolmente.
Questa seconda edizione nasce dal bisogno degli artisti partecipanti di approfondire ulteriormente un argomento così labile e oscillante, che non permette mai di giungere ad una conclusione.
Le opere sono in mostra in tre diversi luoghi della Sabina e, questa in Santa Maria Extra Moenia, è l'ultima tappa delle inaugurazioni iniziate venerdì 14 luglio.
2.
Ma perché è stata scelta la zona della Sabina come luogo di inizio per questa seconda edizione?
Come già detto, i motivi sono strettamente collegati a quelli che diedero origine alla mostra del 2019 a Gorizia, il punto di contatto è il pittore Livio Caruso, il quale, nei primi anni Settanta, frequentò il maestro Lin Delija.
Caruso ha in mano il filo rosso che collega gli artisti Goriziani con quelli della Sabina, fil rouge che passa tra le mani dell'indimenticato Delija, abbracciando alcuni artisti che negli anni Ottanta ebbero modo di frequentare la Libera Accademia di Belle Arti "Carlo Cesi", istituita dal maestro all'interno della sontuosa struttura settecentesca di Villa Mentuccia che dall'alto domina Antrodoco. È il caso di Fabio Grassi e Alessandro Melchiorri, personalità ben note nella provincia di Rieti, presenti in questa seconda edizione con le loro opere. Negli anni, questi due artisti, hanno intrapreso linguaggi diversi fra loro, distaccandosi dal modello iniziale delijano, sperimentando nuove tecniche e forme artistiche.
Antrodoco ospiterà la prima inaugurazione presso il "Museo della Città Lin Delija-Carlo Cesi" e l'ultima presso la chiesa di Santa Maria Extra Moenia; la seconda inaugurazione si terrà a Rieti presso la Galleria "Le Stelle".
Mentre le motivazioni che hanno portato l'amministrazione a deputare il Museo della Città come uno dei luoghi di esposizione sono riscontrabili nella denominazione del museo, intitolato per l'appunto al maestro Lin Delija, le ragioni che hanno spinto ad aprire le porte della chiesa di Santa Maria Extra Moenia sono da ricercare nella storia del pittore e della chiesta stessa.
Le origini della struttura risalgono al V secolo d.C. quando, lungo la via Salaria, fu probabilmente edificato un tempio dedicato alla dea Diana, nei secoli si susseguirono diversi restauri fino ad arrivare nell'XI secolo al complesso attuale, consacrato il 26 novembre 1051 sotto il Vescovo di Rieti Gerardo.
Il parroco di Antrodoco, Don Luigi Tosti, nel settembre 2003 scrivendo la prefazione per il libricino "Gli affreschi votivi del battistero e della chiesa di Santa Maria Extra Moenia di Antrodoco" ha utilizzato parole semplici e incisive:
"Sono tante le bellezze artistiche e naturali intorno a noi e siamo talmente abituati a vederle che ci sembrano familiari. Ma, è noto, avere contatto con le cose non vuol dire affatto conoscerle (……) È davvero un raro privilegio per un paese avere una simile risorsa; è altresì una pesante responsabilità. Ci dev'essere quindi in tutti l'impegno, e il dovere, della custodia, della conservazione e della valorizzazione. Al di là infatti del valore storico artistico che rappresenta è lì che possiamo ritrovare le radici profonde dell'esperienza cristiana della comunità locale."[2]
Queste poche righe riassumono benissimo il significato della scelta del luogo.
La chiesa, riconosciuta come Monumento Nazionale italiano, rappresenta una delle bellezze artistiche più importanti sul territorio, ma, la decisione di esporre al suo interno una parte delle opere che concorrono in questa mostra itinerante, non è dovuta all'unico desiderio di puntare un riflettore su questa meravigliosa struttura architettonica; la ragione va ricercata piuttosto nella profonda fede del pittore Lin Delija. Noi cittadini antrodocani conosciamo tutti il nome dell'artista, le sue opere, le case in cui abitò, gli scorci del paese che decise di immortalare sulla tela. Lin Delija "è un antrodocano con origini scutarine", sempre nostalgicamente legato alla sua terra d'appartenenza ma visceralmente profuso con le genti e i paesaggi della sabina.
In tale contesto la vita del maestro non ha bisogno di particolari introduzioni, poiché, questo è il paese che lo ha adottato e questa la chiesa che fece da sfondo ad alcune sue lezioni di pittura, impartite nel corso degli anni a più generazioni di giovani antrodocani; questo fu l'habitat naturale, sia inteso come luogo di culto legato alla profonda fede dell'artista, sia come luogo paesaggistico di cui Delija subì il fascino eleggendolo più volte a sfondo della formazione dei suoi allievi. Per ulteriori approfondimenti sulla biografia del pittore rimando al sito dedicato www.lindelija.it.
Oggi, questo edificio cristiano, apre le porte al mondo della psicoanalisi. Due concetti, fede e inconscio, apparentemente contrapposti, legati però dall'unicità della percezione dell'individuo.
3.
Entrando in Santa Maria Extra Moenia veniamo subito scossi dalla complessità e diversità dei lavori esposti. Nonostante questa disomogeneità iniziale, il fil rouge che lega le opere viene subito ritrovato nel tema generale della mostra. I diversi approcci si concretizzano nell'espressione autentica degli artisti; essi hanno colto l'occasione per mostrare l'immagine che meglio esprimesse il significato del titolo di questa seconda edizione Qui ma altrove. L'essenza dell'assenza.
La frammentarietà di questi diversi inconsci ci catapulta nel mondo interiore degli artisti, che a volte, senza neanche conoscersi fra loro, hanno interpretato attraverso gli stessi simboli la personale percezione del "Qui ma altrove".
Esaminando i lavori in un quadro generale nasce subito una prima naturale scissione tra chi interpreta il mondo inconscio attraverso un'arte figurativa e chi utilizza invece l'astrattismo come espressione del proprio caos interiore.
Tra le opere figurative salta subito all'occhio un elemento ricorrente, la "sedia", da sempre oggetto e soggetto di grandi opere d'arte. Il fatto che artisti sconosciuti fra loro l'abbiano utilizzata come espressione di un universo interiore, apre una finestra sulla profonda simbologia da sempre rappresentata da questo oggetto.
Le due opere Ritratto di donna di Lin Delija e Donna-sedia di Flavio Riz, sono caratterizzate da un espressionismo molto diverso; la prima prende forma attraverso pennellate delicate e veloci, realizzate con toni molto tenui ed eleganti, quasi una rarità nella produzione del maestro; la seconda figura, invece, prende forma attraverso la voracità dei colori forti, il rosso predomina la scena ma è il tratto nero e selvaggio, tipico delle opere di Riz, a tenere la figura bloccata sulla tela. Nonostante la delicatezza della prima e la spigolosità della seconda, entrambi i soggetti sono adagiati su una seduta, che nel primo caso percepiamo (perché in realtà non c'è) attraverso la posizione della struttura ossea e carnosa della donna; invece, nel secondo caso, la struttura lignea della sedia è completamente integrata e assimilata alla figura; questa presenta un volto "sfigurato", monco per metà, come se una parte non fosse lì, ma altrove, oltre il mare azzurro alle sue spalle. La figura è bloccata nella sedia, che esplicita tutta la sua simbologia legata alla forma allusiva del corpo umano, da cui derivano i nomi delle sue componenti, come schienale da schiena, gambe, piedini da piedi e così via.
La sedia torna anche nell'opera L'ombra delle cose di Pranvera Gilaj, artista di origine albanese come il nostro Delija, attuando esattamente il processo inverso del suo connazionale. C'è una sedia viva, resa tale dagli oggetti che la abitano, una camicia da lavoro, le ciabatte del riposo e una fiaschetta di vino per ristorarsi dopo una giornata di lavoro. L'oggetto diviene soggetto soggettivo, poiché ogni spettatore proietterà sulla sedia la persona evocata dalla propria memoria.
L'opera rimanda inevitabilmente al realismo portato in campo da Renato Guttuso negli anni Quaranta, Pranvera, come il siciliano, rivela un forte sentimento di condivisione per la cultura materiale che abita la quotidianità del popolo e in particolare la fascia, "in via di estinzione", dei contadini; inoltre, questa attenzione per il mondo popolare, elaborata con grande semplicità stilistica, crea un punto di contatto anche con opere di stampo Naif[3].
Tra i lavori esposti ce n'è un altro che attraverso una seduta evoca alla memoria attimi di vita passati, goduti, amati e nostalgicamente ricordati. L'opera in questione, di stampo surrealista, è il Morfeo, di Livio Caruso DDS. La composizione fa riferimento al mondo simbolico dell'individuo e si presenta assolutamente libera da ogni prospettiva e logica. Il Surrealismo, movimento nato negli anni Venti del Novecento, si è fondato sulle scoperte maturate dalla psicoanalisi, in cui sogno e inconscio vengono considerati agenti attivi, in grado di far emergere la parte primordiale ed emozionale dell'essere umano.
L'autoritratto affiora e svanisce sulla tela ogni volta che anche noi chiudiamo le palpebre unendoci al sogno dell'artista. Nella memoria irrompono tre oggetti, che suggeriscono una storia tenuta in vita da quei simboli. Caruso ci obbliga a trovare una lettura, un percorso logico, lasciando che quei pochi, meditatissimi oggetti, si insinuino nella nostra mente, interrogandola fino a sprofondare nella nostra psiche, generando così nuovi simboli e nuove associazioni.
La disposizione degli elementi evoca opere di Giorgio De Chirico e del conseguente movimento della Metafisica, incentrato sul tema dell'attesa come condizione intrinseca dell'essere umano, e rivolto ad una dimensione che supera l'esperienza empirica e si colloca al di là del sensibile.
Anche l'opera L'ombra delle cose lavora ancora di Laura Grusovin è devota ad un realismo lirico, assimilabile all'arte metafisica, collegandosi in parte al successivo movimento del Ritorno all'ordine[4], fondato sulla necessità di recupero delle tradizioni e delle radici comuni.
Ultima opera di stampo surrealista/metafisico (a volte risultano essere due facce della stessa medaglia) è Notte di sole di Francesco Imbimbo; salta subito all'occhio una certa incongruenza tra l'accostamento generale degli elementi del paesaggio, e poi fra questi ultimi e il titolo stesso dell'opera. L'immagine evoca il surrealismo magrittiano, giocato sul tema dell'illusione, sia come artificio dell'arte, ma anche illusione come comprensione falsata della realtà, in una sovrapposizione costante dei due concetti, facendo della pittura, o disegno che sia, la metafora della condizione umana.
Infine troviamo un delicatissimo acquarello di Agnese Melchiorri raffigurante una persona seduta con i gomiti poggiati sulle gambe totalmente assente spiritualmente, trasportata in un'altra dimensione, in questo caso c'è la sedia e c'è la persona, ma non c'è l'anima né dell'oggetto né del soggetto. La posizione meditativa assunta dal protagonista è nota nella storia dell'arte, e in particolar modo nella scultura, attraverso opere come il Pensatore di Auguste Rodin del 1880, ma ancor di più la scultura Fireside chat di George Segal, scultore statunitense che divenne famoso grazie alle opere a grandezza naturale. In questo caso il piccolo acquarello e la statua di grandi dimensioni propongono la stessa identica rappresentazione della figura umana assorta e totalmente estraniata dalla dimensione circostante.
Sulla sedia sono state scritte moltissime cose, essa è stata da sempre protagonista delle opere dei più grandi artisti e scultori, allusiva di vita e di morte, espressione di individualità, di solitudine e quotidianità, tiene le persone ricurve sui libri o intente in altri lavori, le accompagna nei momenti di convivialità casalinghi, e poi invecchiando, quando le energie cominciano ad abbandonare i corpi, diventa calamita e calamità, creando una sorta di immaginario comune che proietta i nostri cari ancora comodamente seduti in qualche angolo delle nostre abitazioni. L'oggetto diventa così un ponte verso qualcuno o qualcosa che è altrove, aiutandoci inconsciamente nell'elaborazione dei nostri malesseri.
Prima di passare alle opere più prettamente astratte mi soffermerei su quelle collocabili nel limite estremo dell'arte figurativa. La prima, Amentia, di Fabio Grassi, oltre a richiamare alla memoria alcuni ritratti picassiani, ricorda alcune opere realizzate dai protagonisti del gruppo CO.BR.A, movimento artistico d'avanguardia nato in Europa alla fine degli anni Quaranta e caratterizzato da una pittura semi astratta, realizzata attraverso colori brillanti e violente pennellate, i quali, in una distorsione perenne della realtà, lasciavano emergere dagli sfondi astratti, figure e volti antropomorfi.
Inoltre, l'opera in questione di Grassi, ricorda molto alcune opere di Fernando Farulli[5], artista fiorentino che nella seconda metà degli anni Quaranta aderì al movimento "Arte oggi".
La seconda opera, dal titolo Portrait, è una fotografia con interventi in sovrapposizione dell'artista argentina Maria Fernanda Veron. Il risultato finale lascia sgomenti davanti all'ombra della persona che un tempo ha abitato la foto, adesso completamente tramutata in uno spettro nebuloso. Allargando lo sguardo su tutte le opere in esposizione dell'argentina, si percepiscono le fisionomie dei personaggi disfatte dalla sofferenza, uomini e donne che hanno perduto la loro stessa identità. Le immagini, ricordano la serie degli "Otages" di Jean Fautrier[6], realizzati dall'artista francese intorno alla metà degli anni Quaranta in seguito alla diretta esperienza della guerra, mostrando il proprio tomento attraverso la deformazione delle fisionomie dei personaggi, con un effetto di rilievo reso dal coagularsi della materia pittorica, realizzato dalla Veron attraverso gli interventi in sovrapposizione. Inoltre, queste rielaborazioni fotografiche, evocano alcuni studi di Francis Bacon e della sua deformazione e rielaborazione del disagio e dello smarrimento dell'uomo, tutto incentrato, come quello della nostra artista, sul tema dell'incomunicabilità.
La terza opera al limite dell'arte figurativa è Triptico 2 realizzata dall'artista Giampietro Guillermo, dico al limite perché lo sfondo si presenta totalmente astratto e su questo viene inserito un nudo molto realistico, pregno dei riferimenti più disparati, dalle ballerine di Degas ai manichini senza volto di De Chirico, elegantemente in bilico su l'orlo di un precipizio. Precipizio visibile solo grazie all'inserimento della figura e che altrimenti risulterebbe un mero segno compositivo dell'opera astratta.
Le ultime due opere con una compresenza di astrattismo e figurativismo sono Suoni al di là… del reatino Alessandro Melchiorri, e Risoluzione, di "Vera" Elvira Mauri.
La prima ci dà la sensazione di scomparire insieme al personaggio raffigurato, di cui è visibile solo una mano, intenta forse ad accarezzare uno strumento musicale, mentre tutto il resto scompare sotto l'andamento delle linee energiche che rimandano ad alcune opere futuriste. La seconda ci confonde con la messa a fuoco su un tessuto realizzato con corde tirate e spezzate, che tendono a separarsi ulteriormente nella parte inferiore del dipinto, ma che restano comunque unite sulla superfice della tela da un nuovo giro di corda. L'opera, di non facile lettura, mette sicuramente in evidenza un mondo interiore molto articolato, dominato da forze emotive a contrasto, che creano strappi e ferite.
Giunge il momento di immergerci nel mondo più indecifrabile, ovvero quello delle opere astratte.
Più in particolare l'opera Sentao...tra mar e palùo di Daniele Bredeon è perfettamente assimilabile all'arte informale, nata in linea con il cosiddetto Espressionismo astratto[7]. Bredeon segue la scia dell'americano Franz Kline[8] e dei francesi Pierre Saulage[9] e Georges Mathieu[10], artisti che intrapresero una pittura informale basata sull'importanza del segno calligrafico, rifacendosi anche agli ideogrammi dell'estremo oriente.
Mentre Bredeon guarda ad un astrattismo più segnico, Pierina Malatesta ha realizzato opere legate alla velocità del gesto che creano un unico vortice tra pensiero e realizzazione dell'opera, senza filtri ne artifici. Anima, azione e creazione sono gli unici ingredienti del Davide dell'artista reatina.
Altra sfaccettatura dell'astrattismo viene messa in campo dall'artista scomparso nel 2018 Maurizio Gerini; l'opera, Paesaggio attuale - prospettive d'incontro, si presenta con una superfice ricca di forme e colori, la composizione è totalmente asciugata da riferimenti figurativi, fatta eccezione per una finestra sbarrata in alto a destra, dandoci così una chiave di lettura per questo paesaggio, che forse non è uno spazio aperto ma una colorata prigione, allusiva della psiche umana, che spesso si tramuta, anche per uomini liberi, in una gabbia senza via di fuga. L'opera ricorda i lavori di Vassilij Kandinskij, come lui, il nostro Gerini, utilizza un processo di semplificazione del linguaggio, attuando la comprensione attraverso la pura percezione sensoriale, totalmente spontanea e primordiale.
Infine è esposta un'opera di stampo canonicamente informale, Oltre. La preghiera di Cristina Suligoi. L'immagine prende forma dalla stesura del rosso e del nero dal quale vengono ricavate tante tonalità e sfumature; il tutto viene invaso da sottili linee bianche che appaiono come scariche elettriche propagandosi dall'esterno all'interno del dipinto. Il titolo ci aiuta a salire su un binario interpretativo che conduce al di là dello spazio sensibile, nel luogo dove la preghiera, mezzo per rivolgersi alla dimensione del sacro con la parola o il pensiero, diventa immaginazione e concretizzazione attraverso l'opera astratta.
Per concludere l'enorme diversità tecnica e stilistica cui accennavo nelle prime righe di questo ultimo punto, viene proposta anche un'opera fotografica di Federico Ielusich, Black mirror. L'artista ha immortalato la sua immagine deformata su una superfice metallica, creando una sorta di altra dimensione, qualcosa che esiste solo se viene cercato e che mette in contatto con altre percezioni di noi stessi e del mondo che ci circonda. Siamo nell'ambito dell'arte Concettuale, che supera il rapporto con la materia e l'idea del manufatto artistico. Ielusich ci chiede di abbandonare la visione che abbiamo dell'arte e della sua funzione estetica, proponendoci di investigare su ciò che già esiste, che può essere osservato attraverso vari punti di vista e superfici, generando sempre nuove riflessioni.
Anziché lavorare su ulteriori forme espressive per tentare di coinvolgere un pubblico sempre più distratto, l'autore ci pone davanti all'eterno quesito: Cos'è l'arte? Quale è il suo scopo?
[1] Pronome neutro tedesco adoperato in psicanalisi, prima da G. Groddeck poi da S. Freud, per designare la fonte impersonale, inconscia, delle manifestazioni della vita istintiva.
[2] Verani Cesare, "Gli affreschi votivi del battistero e della chiesa di Santa Maria Etra Moenia di Antrodoco", Editrice "M. Rinaldi", Rieti, 2003.
[3] Con arte Naif si intende un tipo di produzione artistica priva di legami con la realtà culturale e accademica della società in cui è prodotta. Essa tende a rappresentare gli aspetti comuni della vita quotidiana in modo semplice, ingenuo e istintivo. Uno dei maggiori esponenti italiani fu il pittore Antonio Ligabue (Zurigo 1899- Gualtieri 1965).
[4] Movimento artistico nato dopo il 1918 come reazione culturale e artistica al periodo bellico. È fondato sul rifiuto delle esperienze delle avanguardie a favore dei linguaggi figurativi dell'arte storica tradizionale.
[5] Farulli Fernando (Firenze 1923-1997). Pittore e incisore italiano, nel 1947 aderì al movimento progressista Arte oggi. Dopo le prime tre mostre avvenute nel 1949 gli artisti partecipanti cambiarono il nome del gruppo in Astrattismo classico. Nel manifesto del gruppo l'artista è concepito come un operatore culturale rivolto alla ricostruzione della società civile.
[6] Fautrier Jean (Parigi 1898-Chatenay Malabry 1964). È stato uno dei maggiori esponenti dell'arte Informale.
[7] Movimento artistico statunitense nato dopo il secondo conflitto mondiale; talmente importante che contribuì a spostare la capitale artistica occidentale da Parigi a New York e più in generale dall'Europa agli Stati Uniti.
[8] Kline Franz (Wilkes Barre 191°- New York 1962). È stato un pittore statunitense tra i maggiori esponenti dell'Informale.
[9] Saulage Pierre (Rodez 1919-Rodez 2022). È stato un pittore e incisore francese.
[10] Mathieu Georges (Boulogne Sur Mer 1921-Boulogne Billancourt 2012). È stato un pittore francese.